RUXPIN & STAFRÆNN HÁKON  "Meet me in forever"
   (2023 )

Due artisti molto quotati in Islanda, terra di ghiaccio e fuoco, dove gli animali sono più delle persone e gli alberi sono una vera e propria rarità, definizioni e considerazioni prese da Google. E vi spiego perché sono finito su Google per fare questa recensione: dovevo capire cos’ha influenzato Ruxpin e Stafrænn Hákon durante la realizzazione di questo ''Meet me in forever''.

Dovevo capire cosa possa aver indotto alla produzione di un disco così criptico e con tracce parecchio ripetitive che, sì, fanno immaginare grandi spazi, ma che mi hanno dato l’impressione di una grande melanconia interiore. E ho capito il perché di cotanta produzione informandomi sull’Islanda, meta turistica per estimatori di superfici vulcaniche, ghiaccio e renne, un sacco di renne, circa 7000, che scorrazzano per il paese libere e belle. Ma l'Islanda è anche un paese placido e tranquillo abitato da gente con pochi grilli per la testa.

Il disco si apre con ''Flawless Delivery'', sei minuti e ventidue secondi di suoni ridondanti e un immaginario fiume di suoni che al minuto 3'29'' ci travolge e che termina con una tempesta nel mare. Vista l’immensità degli spazi Islandesi, si passa a ''Unmapped Landscapes'', con la sua idea di spazio immenso sconosciuto, anche qui il suono evolve a metà della traccia, portate pazienza o voi che ascoltate.

''Cloud Surf 1985'' incuriosisce soprattutto da 2'04'', dove ho riconosciuto i primi accenni alla musica di Ryuichi Sakamoto, che vengono poi ripresi in ''Odessa'' dove (spero non solo a me) il pezzo riporta alla memoria quel brano fantastico che era, anzi è, ''Forbidden Colours''.

Il primo pezzo cantato è ''Delayed Goodbyes'': piacevole, trasmette bene il timore di un addio non desiderato e per fortuna cancellato, nulla di nuovo nella timbrica e nel mix sonoro, ma a metà del viaggio ci sta. Si prosegue poi con ''Second Breath'' e con le cupe atmosfere di ''Dark Rift'', mentre in ''Angeyja'' un esplosione sonora iniziale vi sorprenderà, o risveglierà dal torpore, e vi porterà ad immaginare l’aurora nei suoi delicati movimenti e lo farà ripetitivamente per cinque minuti e quindici secondi.

''Footsteps'' e ''Offshore'' hanno accenni di chitarra che riconducono all’esperienza post rock di Stafrænn Hákon, un accenno per i più attenti, perché sparisce e lascia spazio a suoni industriali accompagnati da suoni a corde e da una voce piuttosto imperativa nei secondi finali di ''Offshore''. Interessante l’intro di ''Reunited'', con suoni che in qualche one night di Reykjavik ci stanno a pennello. Così il lavoro di Ruxpin e Stafrænn Hákon si chiude con i suoni industriali di ''What we need''.

Mi è piaciuto? Non rispondo, credo si sia capito. Mi ha incuriosito? Certamente sì, mi ha stimolato, ma credo che l’ascolto sia per soli abitanti di Iceland. (Marco Camozzi)