CLAUDIO ORFEI "My wonderland"
(2023 )
Chi pensa che i limiti umani possano rappresentare un ostacolo e frenare (conseguentemente) l’intraprendenza, prende un grosso abbaglio. Ma, fortuna ci sono, altresì, artisti che, da questi limiti, estrapolano opportunità mirabolanti.
Claudio Orfei, classe 1992, è uno di questi e, “sfruttando” la sua ipovedenza, ha estratto dal cilindro fantasioso un monumentale album come “My Wonderland”, frutto di un lavoro durato anni tra mille difficoltà, ma nessun argine poteva contenere la tracimazione di un flusso d’idee tanto eclettiche quanto formidabili nel suo complesso.
Un disco dal respiro geniale, sontuoso, vissuto in ascolto e realtà aumentate, nella quale si viene calamitati nel magico mondo di Orfei che, in una dimensione personalissima, ci conduce in un viaggio multilingue, assumendo le vesti di un tour-operator poliglotta che, tramite italiano, inglese, arabo, francese, portoghese, spagnolo, romanesco e napoletano, ci scarrozza in un microcosmo tra fiabesco ed immaginifico, con un ricco impiego di mezzi, non solo musicali (dal jazz, all’etno al cantautorato) ma anche di anime attinte dall’elegante circuito canoro come Maria Pia De Vito, Susanna Stivali, Elisabetta Antonini, Raffaela Siniscalchi, Barbara Eramo, Raffaella Misiti e Giulia Annechino, che danno ai brani quella densità fascinosa necessaria per elegantizzare il tutto ed ammaliare, cosi, un orecchio già catturato da uno spessore d’incredulità per la maestosità del (possiamo dirlo…) musical-album allestito da Orfei (un cognome già da predestinato!).
Non un climax da circo ma, comunque, un bellissimo “Carrozzone che va avanti da sé…” (Zero docet!), che intraprende 10 tappe eloquenti di vita, tra riflessioni, constatazioni, congetture, sfumature, saudade ed imagination per tutto ciò che può trasformare un handicap in meravigliosa risorsa.
Il principale obiettivo di quest’opera è rendere omaggio all’universo femminile, protagonista di un “azionariato” illuminante, fraterno, genitoriale e risolutivo. Insomma, in “My Wonderland” troverete un cappellaio matto pronto a stupirvi dalla titletrack fino a “Looking myself”, in un circuito fatto di speranza e voglia di ritrovarsi come persona, nel quale la sonda introspettiva arriva a scandagliare gli angoli più imi e reconditi per dar vita, cosi, al processo di riabilitazione con sé stessi e, soprattutto, con il mondo intero, ancora incagliato nell’inerzia di un insensato ed improduttivo egoismo.
“My Wonderland” ci concede un sogno concreto e fattibile: vivetelo in pieno! (Max Casali)