JOYCUT "The blue wave"
(2023 )
Abbiamo ancora da sperare di tirar fuori qualcosa di buono dall'antropocene e dalle sua asintonie, asimmetrie e storture, o solo presunte intelligenze artificiali, inquinamento sempre più pervasivo e sempre meno bellezza e sapienza?
E la musica che ruolo può giocare? Una volta c'erano i Tangerine Dream, quella cara mattacchiona di Nina Hagen, ma anche oggi non siamo poi messi male, dai. Stiamo di parlarvi di qualcosa che infonde speranza anche in tempi bui, e vi regala mondi alternativi da infilare nelle orecchie per depurarle, ideali colonne sonore di film che qui in mezzo alle nubi spalancano squarci, aperti alla luce e alla speranza dopo anni di miseria e dolore.
Certo, forse man mano che rilascia online i singoli a seconda delle fasi lunari (bella operazione di marketing) vi sembra che il nuovo lavoro di Peter Gabriel a 73 anni suonati (li porta comunque meglio di Roger Waters, che ormai è un ricoglionito putiniano senza arte né parte) sia un buon esercizio di senilità e niente altro, ben meno dirompente del precedente di 21 anni fa "Up" (ma aspettiamo di sentire ''I/O'' fino alla fine, anche se a me il titolo fa venire in mente il verso dell'asino più che un omaggio all'immaginario di Steve Jobs e simili); oppure se semplicemente volete rigenerare l'apparato uditivo dopo le bordate di ovvietà e melassa sonora propagate da calamità innaturali come Sanremo, ebbene, ecco un album che puo essere un toccasana non rilassante o pacificante ma militante, comunque una scoperta fuori dal comune. Ed è un bel prodotto italiano di cui andar fieri.
Si tratta, fra mantra digitali ed echi tribali, appassionanti cavalcate che riconciliano con l'elettronica e il digitale e non fanno mai avere nostalgia dei puri suoni di natura, del ritorno dei grandi JoyCut (https://it.wikipedia.org/wiki/JoyCut), band importante ormai in circolazione da 22 anni, che è appena entrata nella scuderia della Earth/Percent di Brian Eno e non è un traguardo da poco!
Sempre da Wikipedia sappiamo che JoyCut deriva "dall'unione concettuale tra ''Joey'', canzone di Nick Drake tratta da ''Time of No Reply'', e ''Cut'', derivante da ''The Final Cut'' di Roger Waters".
Sono brani che riflettono una ansia incessante di creatività, sperimentazione e ricerca (non a caso ho citato Gabriel a cui piacerebbe questo lavoro, e a Bjork piacerebbe "Siberia"), ricerca che nel suo dispiegarsi sul fronte del tempo e dello spazio non si ferma all'omaggio a pur doverosi modelli che anche a un primo ascolto verrà facile elencare. Qui invece gli ascolti richiesti per entrare in sintonia con questo fervoroso materiale sonoro sarebbero molti di più, occorre una frequentazione diuturna per apprezzare i valori che questo laboratorio di ricerca sa dare ed esprimere.
Un dialogo tra natura e cultura a ben vedere, che prende atto della postumanità che ormai siamo diventati senza prodursi in moralismi, con la passione entomologica di chi osserva il mondo sotto un vetrino ma al contempo esprimendo cuore, anima e passione vera attraverso la costruzione sonora.
Ora, come detto, c'è stata la consacrazione da parte del Leonardo della musica che ha creato i suoni migliori di gruppi come Talking Heads e U2, ossia Brian Eno; ha scelto un brano dell'album “GhostTreesWhereToDisappear” per il suo progetto EARTH/PERCENT la cui playlist/compilation è uscita lo scorso aprile. A un fan dei Pink Floyd e dei Cocteau Twins e anche di certo progressive come me non può che far bene un simile tappeto sonoro che è anche un inno all'esistenza e al suo fluire tra natura e artificio, significa che quei maestri hanno seminato bene e qualcuno ne ha raccolto i frutti trasmettendoli come un Dna di evoluzione culturale (non a caso uno dei migliori brani è intitolato "Darwin") da una generazione all'altra, e chissà mai che questi suoni entrati nella galassia di Eno siano destinati un giorno ad accompagnare la scoperta del primo esopianeta abitabile per l'esausta consorteria umana.
Voto 9, anche perché l'effetto soporifero che certe volte accompagna queste incursioni nella musica di ricerca qui è assente, qui si sta belli vigili e svegli, l'ascolto non è mai stancante e non si avverte mai nostalgia della voce umana (anzi è una bella occasione per insegnarci a stare zitti che a volte occorerebbe proprio), anche perchè non mancano, oltre a momenti lirici e tappeti rilassanti e contemplativi, anche crescendo rossiniani elettronici. Insomma questa musica, che potrebbe essere anche stata scritta vent'anni o trenta fa e ci viene consegnata come una capsula del tempo, è come un rigenerante massaggio come dicevo all'inizio, un vero talismano, toccasana e medicamento per uscire un giorno, speriamo presto, dal banale piattume cui ci siamo, più o meno complici, votati. (Lorenzo Morandotti)