THOMAS FRANK HOPPER  "Bloodstone"
   (2022 )

Non sarà la perfezione, ma per quanto sporco e vero nelle sue imperfezioni, accidenti se pesta e convince ad alzare il volume fino a protesta condominiale certa.

Se siete con le ossa rotte dopo mesi di guerra, caro gas e benzina, e i risultati delle elezioni vi fanno tremare i polsi e leccare ancora le ferite, ecco una cura decisamente efficace e di pronta beva anche se presa a dosi omeopatiche, utile per darvi la sveglia ogni mattina e concedervi una buona motivazione per infilarvi nella routine quotidiana senza dare di matto. Altro che i soliti triti Maneskin.

Uno così nei reality e nei talent alla Maria De Filippi non lo trovate, vivaddio. Arriva a sparigliare le carte, a farci credere una volta ancora che il rock, quello vero, non morirà mai e poi mai, un denso e godurioso mix di blues americano e rock europeo condensato nell'album "Bloodstone" del giovane cantautore e chitarrista belga Thomas Frank Hopper, uscito nel 2021 e ora in circolazione anche in vinile per amatori a tiratura limitata.

L'artista, per quanto ci sa riconciliare con una musica che temevamo spacciata e schiacciata sotto tonnellate di talenti sprecati, a questo punto andrà a completare con il suo cognome una ideale triade di alternativi autorevoli e da paura, con il pittore Edward Hopper e l'attore Dennis. La sua è energia allo stato puro, con cavalcate e assoli magistrali, quel che ci vuole per affrontare l'autunno più duro a memoria di bipede in questo secolo. Thomas declina in maniera seria e originale in concetto di adrenalina, mettendo qualcosa di nuovo, schietto e vero eppure rispettoso della tradizione senza tradirla e soprattutto senza superfetazioni digitali o strizzatine d'occhio alle mode momentanee, autentico, e pertanto qualcosa di nuovo rispetto alla melassa circolante e anche ai pur rispettabili dinosauri in circolazione come Red Hot e Pearl Jam.

Questa qui invece, signore e signori, è pura musica verace da tenere d'occhio - ricamata attorno a una voce davvero niente male - una specie di Lenny Kravitz forse meno ambizioso ma quasi sempre da ascoltare a velocità da ritiro patente, convincente anche nelle ballate, che non si risparmia quando c'è da schiacciare sul pedale, come nella title track e nella imperdibile "Come closer". Dodici canzoni per un ideale tuffo on the road alle radici del rock che più amiamo per uscirne rigenerati e rinnovati (si ascolti "Into the water" con quel finale di fiati), canzoni registrate "come negli Anni Settanta" senza trucco e senza inganno come recita la presentazione per la stampa, e questa volta c'è da sottoscriverlo: siamo davvero di fronte a una versione "da XXI secolo" di Robert Plant e del suo mondo.

Da tenere d'occhio, voto 7/8. (Lorenzo Morandotti)