WINTER  "Looking back"
   (2022 )

Originario di Düsseldorf, Markus Winter è uno che di gothic rock ne ha masticato parecchio, sia nei progetti Cry ed Hertzton, sia come solista. Stabilitosi a Husum, cittadina nell’estremo nord della Germania a due passi dalla Danimarca, ha assorbito tratti della musica crepuscolare virata noir tanto cara alle latitudini scandinave, così come tracce della marziale maestosità teutonica, amalgamando il tutto con una scoperta inclinazione a sviscerare tematiche oscure e misteriche.

La sua scrittura, ammantata di una fascinosa tetraggine, richiama talora certe plumbee progressioni dei Sisters of Mercy, ed analogamente alla band di Andrew Eldritch pre “First and last and always”, Markus ha alle spalle svariate pubblicazioni di singoli che precedono il monumentale “Pale horse”, debutto lungo realizzato tra fine 2021 ed inizio 2022. Su label Wintergothic Records raccoglie in questo “Looking back” dodici brani già editi e – nell’edizione limitata prodotta in 300 copie numerate - quattro bonus track provenienti proprio dalle sessioni antecedenti all’esordio, oltre un’ora di sollazzo per cuori tenebrosi e tristoni d’antan.

In verità, rispetto a “Pale horse” i sedici episodi qui riuniti propongono un deciso ridimensionamento del canone gotico che renderà quell’album ferale e sinistro. Di fatto un prequel, dispensa canzoni toniche e squadrate, ancora legate ad un rock cupo dal quale scaturiranno le caliginose atmosfere dell’immediato futuro. Poco male: in un turbinio di quattro quarti declinati in minore, tra echi di Rammstein edulcorati (”Child of everdream”) e ben più di una parvenza del Peter Murphy solista (“A love worth dying for”), Markus infila una sequenza impressionante di solide trame anthemiche, ricamate ad arte grazie ad una brillante produzione e ad arrangiamenti opportunamente essenziali.

Riff grossi (“We believe in rock”, “I stand alone”), assoli brucianti buttati lì con nonchalance (“Princess of the night”) e chorus sempre efficaci disegnano il perimetro di un album affatto compilativo, tra echi di Sophia e qualche tentazione folkish (“Coming home”), accenni di boogie distorto (“HeartBreak road”) e sporadiche incursioni in cunicoli catacombali. A tratti sembra quasi di ascoltare un misto improbabile tra Jim Capaldi e Dan Sartain (“Beneath the blue”, “Angel”), o perfino delle outtake di un qualche album anni Ottanta del mai-abbastanza-lodato Billy Idol: a tale proposito, mandare a memoria – prego - l’irresistibile accoppiata “The flyer”/”Bleeding heart”, ma anche – per cambiare registro - la languida melodia à la Mission di “Blood red vengeance” o la struggente intimità della conclusiva “Take it slow”.

Alla fine, “Looking back” è una godibilissima carrellata di ballate elettriche da godersi con gli occhiali scuri, mentre seduto in penombra ed in perfetta solitudine – al riparo da sguardi indiscreti e dal probabile scherno di chi ti considera âgé – ti lasci andare ai ricordi del tempo che fu.

E, nel tuo migliore baritono, canti compiaciuto: we are creatures of the dark/we wear black. (Manuel Maverna)