JUAN E.CUACCI, M.MARTINEZ & LA MAQUINA DEL TANGO  "Acà lejos"
   (2022 )

Rinnovare il tango, dopo quasi un secolo e mezzo di vita a travolgere i ballerini da Buenos Aires a tutto il mondo, col suo inconfondibile pathos. Questa è la missione del pianista Juan Esteban Cuacci, assieme alla cantante Mariel Martinez e La Màquina del Tango. Con quest'intenzione esce l'album “Acà Lejos”, per la Caligola Records. Tango che guarda ai giovani. Ad essere sincero, il tango (specifichiamo, quello argentino, non lo standard da liscio), non è mai stato del tutto abbandonato. C'è sempre una fetta di pubblico appassionata, e una fetta che, viceversa, se ne è sempre disinteressata. Forse Cuacci vuole conquistare i più diffidenti, e per farlo ha escluso lo strumento che forse suona più “da vecchi”: la fisarmonica (bandoneon).

L'effetto rinnovatore si sente proprio dove negli originali c'era la fisarmonica, come in “Maquillage”. Le melodie cantate sono intrise di quel precipuo sentimento, e quello non si può snaturare, anzi si rafforza quando parte la viola. Ma Martinez canta con atteggiamento più jazz, senza esagerare nel marcare le parole, come invece si sentiva nei dischi anni '30. Questo si sente in “Melodìa de Arrabal”: laddove Gardel cantava strappandosi le vesti, Martinez resta più tranquilla, ma non per questo fredda. L'arrangiamento pianistico è l'elemento caotico che fa la differenza: Cuacci ribatte spesso e volentieri i tasti bassi, facendo tuonare il pianoforte. Se non c'è più la fisarmonica, c'è comunque quest'altra via di fuga, per esprimere l'impeto del tango! Stessa cosa per “Toda mi vida”, di cui l'impeto viene conservato con i tasti bianchi e neri.

In “Lluvia fue”, il crescendo strizza l'occhio addirittura al rock, non tanto come sonorità, ma come approccio. “Pena mulata”, che in origine è una milonga, viene stravolta nell'arrangiamento, negli accordi. Cuacci crea una complessa rete armonica, che sorregge ugualmente la melodia, ma le dà tutt'altro tono. Salvo risolvere poi in un coro di “laaa la laaa” di gusto popolare, che suggella l'emozione collettiva, ma con reminiscenze brasiliane. Stessa sorte anche per “Solo se trata de vivir”, che perde quella saudade, marcando l'aspetto ritmico. Per “Golondrinas” viene rispettata l'intimità, anche se verso la fine Cuacci ci aggiunge qualche guizzo pianistico, che però sta bene nel contesto.

“De Buenos Aires Morena”, di Carmen Guzmàn e Héctor Negro (ma di cui esiste anche una toccante versione di José Larralde), era una semplice canzone chitarra-voce, ma qui con la batteria e la viola un po' si raffredda; per fortuna poi, l'ingegno di Cuacci inventa progressioni inedite di pianoforte, che aggiungono un po' di verve, ma non so se questa canzone necessitasse la trasformazione.

Non vi ho ancora parlato della cosa più squisita: le composizioni originali di Juan Esteban Cuacci, che si inseriscono nella scaletta delle reinterpretazioni. Qui possiamo buttare via tutte le etichette; c'è un po' di sangue porteño, certo, specie in “Urgente urgente”, ma è solo uno dei tanti elementi riscontrabili in questi brani. In “Loquedia I”, ci sono certi passaggi da prog italiano anni '70, con l'energia sui tasti ribattuti di pianoforte. “Sudestada tonal” invece, è costruita principalmente su scale esatonali, dando così un'atmosfera particolarmente sospesa al brano. “Loquedia cero” è sognante e fantasiosa, mentre “Acà Lejos”, che dà il titolo all'album, mostra il virtuosismo del pianista, che per quanto sia debordante, resta sempre al servizio dell'espressività. Se vogliamo definire “tango” questo, beh, allora il tango ne esce senz'altro rivoluzionato! In ogni caso, le composizioni di Cuacci sono ricche e multidirezionali, quindi possono riuscire nell'intento di attrarre pubblici diversi, dai soli aficionados. (Gilberto Ongaro)