QUEEN "Innuendo"
(1991 )
“Innuendo” fu l’ultimo vero album dei Queen, una sorta di “testamento” ideale del gruppo. Il quartetto inglese si era già ritirato dalle scene, evitando i soliti, sfarzosi tour all’epoca di “The Miracle”, e il crepuscolo terreno di Freddie Mercury si avvicinava inesorabilmente. In un’atmosfera certamente difficile, acuita dai contrasti tra Roger Taylor e Brian May, i quattro trovarono tuttavia l’ispirazione per generare un album di vaglia, probabilmente il loro migliore dagli anni 70 a quel momento. Poche furono anzitutto le concessioni all’infiocchettamento e ad un suono radiofonico: giusto i blandi divertissement pop-rock di “Delilah” e “I can’t live with you”. L’album inizia non a caso con un pezzo dal sapore epico, che si propone come l’ideale successore di “Bohemian Rhapsody”. In sei abbondanti minuti, “Innuendo” rispolvera le potenzialità della band, in bilico tra impeti zeppeliniani ed estatica visionarietà, con il celebre break spagnoleggiante in mezzo, e un testo ermetico ed enfatico al punto giusto. Meno memorabili, ma ruspanti e godibili, sono invece i più prevedibili anthems “Headlong” e “Hitman”. Tuttavia, il cuore dell’album risiede probabilmente in quegli episodi in cui è conferito un sapore obliquo al consueto canovaccio pop del gruppo: “I’m going slightly mad” ad esempio, sinistra e volutamente grottesca confessione di Mercury; “Ride the wild wind”, spiritata corsa nell’ultimo treno della notte, ancorata al sempre efficace drumming di Taylor; “All God’s people”, ubriaco e istrionico gospel a tinte forti. L’aspetto più elegiaco ed evocativo dell’album emerge invece nei momenti in cui lo spettro della malattia di Mercury stende la propria ombra. “These are the days of our lives”, morbida e circolare, ripropone la felice alchimia che ha fatto la fortuna dei Queen in venti anni di carriera. “Bijou” è l’omaggio di May all’amico Freddie, ed è una summa del suo stile chitarristico tagliente e melodico, da molti criticato ma indiscutibilmente peculiarissimo. E, infine, “The show must go on”, forse il brano quintessenziale del gruppo inglese: retorico e kitsch come da copione, con l’impianto glam che si evolve in parti strumentali e vocali complesse. In definitiva, un album più che buono, degno canto del cigno di una band che, aldilà dei gusti e delle opinioni sui singoli risultati ottenuti in carriera, rimane un punto fermo della cultura pop moderna. (Junio Murgia)