FRANCESCO CAVESTRI  "Early 17"
   (2022 )

Energia positiva, jazz e luminosità. Questi sono tre termini che vengono in mente, ascoltando “Early 17”, esordio del pianista Francesco Cavestri. Non ha neanche vent'anni (classe 2003) e però le idee sembrano essere già molto chiare, oltre che a una tecnica ben sviluppata, virtuosa ma per fortuna sempre al servizio dell'espressione.

Uscito per la Intense Feel Records, il disco rispetta bene il nome dell'etichetta: intense emozioni. Non emozioni strappalacrime, per carità: un altro tipo di emotività. Si potrebbe definire “prurito”, qualcosa di più soddisfacente a livello interiore. Già dal primo brano “Intro/Salute to Dilla”, il salottino pianistico abbastanza riconoscibile nell'ambiente, viene raggiunto a sorpresa dal vocoder, col quale canta lo stesso Cavestri, e funge da giro di boa fra la prima parte al pianoforte, e la seconda in cui la mano destra di Francesco viaggia sul synth.

Il saluto a Dilla nel titolo, è rivolto ovviamente a J Dilla, il produttore che ha portato nell'ambito hip hop degli arrangiamenti inconsueti. E il pensiero va diretto al brano “Letter to a lover”, dove, dopo il cantato iniziale elegante di Silvia Donati, verso la fine del brano, una voce maschile (Cesare Maria Dalbagno) pronuncia una lettera. Questo parlato fa pensare a ciò che si sente in “So beautiful” di Robert Glasper, una delle influenze dichiarate dall'artista. E infatti, si sente nello stile d'improvvisazione. Un altro omaggio alla scena hip hop è il breve minuto di “Figaro, MF DOOM tribute”. Un inciso di pianoforte e basso all'unisono, ripetuto come il loop di un flow, dialoga con lo scratch.

La luminosità di Cavestri si avverte nella fusion di “Living the journey/No one like you” e di “Finally got something”. Le progressioni armoniche tendono all'apertura costante, non si cerca una chiusura, una sorta di conclusione del discorso musicale; piuttosto, Cavestri preferisce indugiare su continue aperture armoniche, e giocare sul sospeso. “In the way of silence” e “Chick's sighting” ospitano alla tromba nientemeno che Fabrizio Bosso, che nel primo utilizza anche la tromba muta (cioè con la sordina, che fa “dimagrire” il suono). Nel primo dei due brani, c'è da notare che Cavestri si è divertito a creare tre tempi diversi: prima il brano è andante, poi si fa più agile, e poi affonda in un pianoforte solista dilatato e dalle atmosfere rarefatte.

Un vociare accompagna l'inizio di “Daydreaming”, avviato da uno strano giro di basso. Nei crediti si legge che il bassista (Massimiliano Turone) suona dal brano 1 al 7. Questo è l'ottavo. Dunque, cos'è questa cosa che ascoltiamo, affiancata dal piano elettrico come sempre svelto e virtuoso di Francesco? Anche il batterista Roberto Red Rossi è accreditato nelle prime 7 tracce, quindi quel che sentiamo qui sarà una drum beat, anche se non sembra. Un brano misterioso e divertente.

“Streams” chiude l'album col flauto di Massimo Tagliata, che ha aiutato anche ai synth e ha prodotto il disco nel suo studio. Questo pezzo è trasportato da un beat elettronico (qui è più evidente), e da dei pad di tastiera che deviano in un ambiente lo-fi molto rilassante. La musica è davvero raffinata di per sé, ma non si perde mai in quella leziosità, dove di solito chi scrive musica di questo genere rischia di impantanarsi.

Forse le idee musicali di Cavestri, seppur già chiare nelle intenzioni, non sono ancora del tutto emerse. C'è un'interessante volontà di avvicinare jazz e hip hop, ma l'incontro è avvenuto ancora in maniera accennata, quasi timida. Le composizioni sono inamidate in una fusion che, per quanto energica, resta comunque nella formula consueta. La tecnica eccelsa c'è, l'espressività c'è, la creatività pure. Basta un po' di ulteriore coraggio nell'utilizzare questa creatività, per mischiare gli elementi in maniera più decisa, e verrà fuori una novità eclatante. (Gilberto Ongaro)