ZOLDER ELLIPSIS  "Entropy override"
   (2022 )

Quel venerdì (toh! manco a farlo apposta…) girava tutto storto. Stato dell’umore: pessimo, tanto che mi frullava in testa il più noto sonetto di liceale memoria scritto da Cecco Angiolieri (n.86) “S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo; s’i’ fosse vento, lo tempesterei; s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo…”. Tranquilli, non intendo tediarvi con le mie magagne ed appesantire ulteriormente la dannata caligine che ci avvolge da un paio d’anni (si veda Veneziani M., ''La Cappa. Per una critica del presente'', Marsilio, Venezia, 2022), alimentata da una narrazione mediatica ossessiva e polarizzata (pandemica prima, incubo guerra poi) che sta mettendo a dura prova i nostri nervi, quanto raccontarvi l’esito di una benefica corrispondenza fra stati d’animo e note musicali. Esperienza comune ma tutt’altro che banale visto che, pur senza scomodare questioni complesse come il fenomeno dell’“l’entagled” descritto dalla fisica quantistica, chiama in causa le affascinanti relazioni fra la nostra Mus(ic)a preferita e la sfera emotiva. Nihil novum sub sole, dal momento che, più o meno consapevolmente, tendiamo a mettere nel lettore (o se preferite sul piatto, vade retro mp3!) ciò che riesce a far vibrare le corde della nostra anima in relazione (anche) al sentire del momento, a particolari ricordi o più in genere a ciò che stiamo vivendo.

Quell’umore disforico mi rendeva refrattario ad ogni tipo di musica se non, forse, alle dirompenti atmosfere del technical death metal che al momento opportuno non disdegno affatto (ultimi Carcass in primis, quindi Children of Bodom, Atheist, i nostrani Sadist, per fare dei nomi). La mia insofferenza per la growl voice (non la sopporto più di pochi secondi, se non ben dosata, in duetto, ad es. Epica, Amorphis), spesso presente in questo filone del metallo pesante, mi ha fatto quindi ripiegare su un terreno a me più congeniale, quello che rientra nella generica etichetta di avant-rock, una delle nuove vesti assunte dalla “sperimentazione” di origine settantiana, “... per vedere di nascosto l’effetto che fa”, cantava il grande Jannacci.

Da tempo avevo sulla scrivania ''Entropy Override'' della band statunitense Zoldner Ellipsis, centrata sul tastierista Tom Aldrich (con Sean Moran, chitarre; Chad Langford, basso; Thèo Lanau, batteria; Ivo Bol campionamenti, elettronica), band sui generis in quanto formatasi in modo pressoché estemporaneo (pare riunitasi per una sola settimana, nell’estate 2019, nella tradizione jazzistica che tende a privilegiare la dimensione live-jam rispetto ai gruppi strutturati, portata alla luce grazie alla certosina ed instancabile opera di ricerca di Lizard Records, ma che non avevo ancora avuto modo di ascoltare: era la giusta occasione.

Dopo un enigmatico tappeto di tastiera introduttivo il disco parte in quarta con ''Craig Gets Reanimated'', brano di grande impatto contrassegnato da una ritmica trascinante e dalle armonie che fanno assaporare i più accesi colori dell’“once called” jazz rock, vitalizzante ed egregiamente suonato. L’apertura faceva pensare a un CD su questa linea d’onda, con tanto di inevitabili richiami a indiscussi caposcuola come gli Weather Report: nulla di tutto questo, aspettativa violata, il che, intendiamoci, è un toccasana in quanto rompe schemi di pensiero precostituiti e spesso rigidi che condizionano e indirizzano l’ascolto su binari morti. Già con il secondo brano (''Zap Gun'') si cambia registro, entrando in un terreno ben più accidentato, denso di dissonanze con una ritmica a singhiozzo, in cui riconoscevo lo stato di disforica frammentazione e contraddizione che stavo vivendo dopo quel pessimo venerdì. Da qua, scordiamoci i momenti più armonici e tradizionali dell’incipit, poco o nulla è concesso all’ascolto distensivo a vantaggio di atmosfere aspre e sincopate dove possiamo ritrovare una originale commistione di vari influssi, dall’immancabile progressive rock (ovvero le sue appendici più sperimentali, dai nostri Area, Stormy Six, agli inglesi Henry Cow) alla fusion, al free jazz.

Se, come raccomandava il poeta John Keats, è necessario familiarizzare con la “capacità negativa”, ovvero il saper tollerare e fare proprie le numerose ambiguità, contraddizioni ed incertezze che il mondo (sia interno che esterno) ci presenta, ''Entropy override'' è un disco adatto ad accompagnarci in questo percorso. Del resto, la musica come forma d’arte non è deputata a rappresentare la più ampia gamma possibile di esperienze umane?

Ah… dimenticavo: il CD è finito lasciandomi la sensazione di una inattesa leggerezza (effetto catartico? salutare corrispondenza fra stato emotivo e realtà esterna?). Non mi pare poco. A buon intenditor… (MauroProg)