HUNKA MUNKA  "Foreste interstellari"
   (2021 )

“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”.
Proprio così. La frase pronunciata da Amleto in uno dei più noti capolavori di Shakespeare (Atto I, sc. 5) funziona perfettamente anche nel variegato pianeta musicale. L’indomita passione per la nostra divina Mus(ic)a, infatti, ci porta a incontrare realtà inattese (serendipity!), celate solo dagli inevitabili limiti della nostra conoscenza, ma soprattutto da quelle comode scorciatoie di pensiero definite in psicologia euristiche, rapide operazioni mentali che immagazzinano le nuove informazioni con schemi preconfezionati, facendoci spesso commettere degli errori e/o riducendone indebitamente la complessità.

Stimando i Dik Dik come una delle più rappresentative band del panorama beat-melodico italiano degli anni sessanta e settanta (e tuttora in attività), ci aspettavamo che la breve ma significativa militanza (1974-1977) di Roberto Carlotto (detto Hunka Munka) avesse incanalato la sua espressività artistica verso tranquilli lidi della musica leggera d’autore e non certo verso misteriose ed intriganti… Foreste interstellari dall’inconfondibile sapore progressive. Lo pseudo-enigma è presto risolto da un curriculum che vanta non solo collaborazioni con musicisti quali Ivan Graziani ed Alberto Radius, unitamente a significative esperienze live come le aperture dei concerti di Rod Stewart e dei Colosseum, ma che permette di apprezzarlo come uno dei cultori delle tastiere e sintetizzatori già dai primi seventies, quando ha pubblicato Dedicato a Giovanna D. (1972), centrato sull’organo hammond da lui stesso “preparato”.

Particolare curioso ma progressivamente significativo, con la sua uscita dalla nota band milanese subentrava un certo Joe Vescovi, una delle icone del prog italiano con The Trip (e non solo). Dopo la parentesi elettronica negli anni ottanta con l’album Promise of love (1984, Atlantide AMX 12003) firmato Karl Otto, il nostro musicista conta diverse esperienze live con gli Analogy fino all’incontro con Joey Mauro, esperto di tastiere vintage a suo fianco in questo nuovo disco made in Hunka Munka targato Black Widow Records (l’etichetta ligure che ci ha piacevolmente abituato a questo genere di produzioni), frutto di un coraggioso cambio di rotta verso un linguaggio distante dai binari che lo hanno reso noto al grande pubblico.

Dunque il Roberto Carlotto che non ti aspetti: il salto di stile potrebbe apparire insolito, ma non c’è niente di cui stupirsi. Chi ha un passato da musicista consumato può muoversi agevolmente tra generi diversi all’insegna della qualità. Foreste interstellari denota un songwriting molto ben congegnato e curato in ogni dettaglio (il mestiere e l’esperienza non si improvvisano). I brani catturano fin dalle prime note grazie a un sound imperioso, di grande impatto ritmico e melodico improntato ad un retrogusto settantiano che tuttavia non si esaurisce nella pedissequa riedizione dei suoi stilemi. Come punti di forza, “Brucerai”, brano dal ritmo incalzante e fluido basato su un testo simil-dantesco, e “I cancelli di Andromeda”, uno strumentale strutturato su più robuste coordinate hard. Non mancano suggestivi interludi come “La solitudine delle stelle”, armonioso intreccio tra pianoforte e canto dalla spiccata ariosità spirituale con toni più ambient. Chi intende assaggiare una sapiente miscela di progressive melodico ad impronta tastieristica ed impennate hard rock è servito. (MauroProg&AlbeSound)