BOB DYLAN  "The Bootleg Series Vol. 16: Springtime in New York (1980-1985)"
   (2021 )

Non ci sono passaggi a vuoto nella carriera del cantautore.

Lo straordinario Springtime in New York, sedicesimo volume della fortunatissima collana Bootleg Series, contiene materiale dylaniano d’archivio registrato in studio e live tra 1980 e 1985 e dimostra, come i più attenti già sapevano, che il genio compositivo di Bob Dylan non ha mai conosciuto pause. Se gli album pubblicati nei sei anni presi in esame dal cofanetto non sempre brillavano per coerenza dal punto di vista musicale e, soprattutto, della produzione, le canzoni che essi contengono – e anche quelle registrate nel corso delle sessioni ma curiosamente non selezionate da Dylan per la pubblicazione – sono gemme mozzafiato e rappresentano l’ennesima metamorfosi artistica del cantautore Premio Nobel.

Analisi critica retrospettiva di una ennesima primavera artistica di Dylan, Springtime in New York setaccia gli archivi degli anni durante i quali furono pubblicati (con l’eccezione di Saved, 1980, le cui sessioni non sono state prese in esame in questa uscita) Shot of Love, Infidels, Empire Burlesque e fu scritto parte di Knocked Out Loaded. Ci si trova di fronte a canzoni infuocate e complicatissime da decifrare: i loro testi paiono tornare all’astrazione degli Anni Sessanta, ma un tipo di astrazione ben diversa da quella, dal contenuto allegorico profondamente mutato; sono canzoni che portano con sé immagini estremamente difficili e narrazioni frammentarie, dove il tempo spesso si riavvolge su se stesso, eredità, questa, delle lezioni del pittore ebreo Norman Raeben, che avevano aperto a Dylan un nuovo modo di comporre dal '74 in avanti, ma anche questo metodo subisce una metamorfosi; sono canzoni radicate nella Bibbia, così ferocemente segnate dalla svolta e contro-svolta religiosa dell’autore, che, dopo aver abbracciato il cristianesimo evangelico nel 1978, l’aveva apparentemente abbandonato nel 1981 per avvicinarsi all’ebraismo.

È un periodo, quello preso in esame dal volume, che s’interseca con il triennio (1979-1981, con una coda di 1978) preso in analisi dal Bootleg Series Vol. 13: Trouble No More, che si concentrava prevalentemente sul periodo gospel dell’autore, quando le scalette dei suoi show erano in larga parte costituite da brani a tema religioso composti in quel periodo, fino a quando, nell’autunno '80, Dylan scelse di inserire nuovamente in scaletta anche brani composti prima del '79, cover e brani tradizionali. Al centro di Springtime in New York vi è senza dubbio l’album Infidels, pubblicato nel 1983 con la produzione di Mark Knopfler e la prestigiosa partecipazione di Mick Taylor. A esso sono dedicati i dischi terzo e quarto dell’edizione deluxe, che conta in totale cinque dischi. Il percorso, però, inizia molto prima, in quel 1980 così cruciale per comprendere ciò che Dylan avrebbe scritto e cantato negli anni successivi.

Non è un caso, infatti, che nella timeline della carriera dylaniana questo box set intersechi in piccola parte il Volume 13 già citato, che iniziava il suo percorso nel tardo 1978 e lo concludeva con brani tratti dal tour 1981. Nell’autunno 1980, infatti, Bob Dylan s’imbarca in un tour che battezza A Musical Retrospective: pur coerenti con il tour dell’anno e mezzo precedente, le atmosfere sono più rock e più bluesy e in scaletta ritornano brani composti prima del 1979, oltre che alcune cover di rilievo, come “Abraham, Martin and John”, eseguita diverse volte in concerto. Proprio questo è uno dei pezzi più emozionanti del primo disco, che contiene le rehearsals organizzate prima del tour da Dylan. Al suo fianco in molte di queste composizioni c’è la cantante Clydie King, che Dylan, dopo la morte di King, avvenuta pochi anni fa, avrebbe definito la sua «ultimate singing partner» (e lo ha detto uno che tra le sue singing partners ha avuto anche Joan Baez). (1) Tutte queste prove – alcune risalenti al 1980, altre al 1981 – mostrano in quale fase di transizione si trovasse Dylan, ancora abbagliato dalla luce della conversione ma lacerato da conflitti interiori di carattere personale, religioso e artistico. Proprio ''Abraham, Martin and John'', insieme a ''Jesus Met the Woman at the Well'', è il brano che collega il Volume 13 a questo: una versione pianistica della prima e una versione full band della seconda, entrambe filmate in studio, sono visibili nel documentario allegato al box set uscito nel 2017.

Il primo disco, però, non esaurisce qui la sua forza. Emergono, infatti, performance straordinarie di ''Mary of the Wild Moor'', una ballata del XIX secolo resa celebre da Johnny Cash, anch’essa più volte eseguita dal vivo da Dylan in quegli anni, di ''We Just Disagree'' di Dave Mason, in un’interpretazione convincente e accattivante, e di gemme autografe nascoste come ''Let’s Keep It Between Us'', un blues luciferino nel quale il narratore sembra attraversare un oceano di fuoco. Di essa si ricorda una serie di performance memorabili nel 1980, e, come tante volte accade con Dylan, il testo cantato subisce di volta in volta variazioni: «Can we lay back for a while / ‘fore the whole thing breaks down and goes too far / If we can’t settle it by ourselves / Honey we must be worse off than we think we are», canta Dylan con una voce magnetica e pulsante, che si appiccica alla pelle come sabbia e si fa un tutt’uno con le chitarre e con l’organo. Con Bob non è mai abbastanza: è un peccato, infatti, che non sia stata inserita anche la cover di ''The Rainbow Connection'', registrata nelle medesime prove. Compensano questa mancanza le performance di ''Sweet Caroline'' di Neil Diamond e di ''Mystery Train'', resa celebre da Elvis Presley, quest’ultima con Ringo Starr alla batteria.

Il puzzle che è Bob Dylan, come ormai si sa, ha un numero di tessere pressoché infinito. Un altro pezzo particolarmente cruciale che questo volume presenta è composto dalle sessioni di Shot of Love, album sottovalutato e ambizioso, uscito nel 1981. Il già citato Volume 13 della Bootleg Series conteneva molti pezzi tratti da esse, tra cui uno splendido take demo di ''Every Grain of Sand'' e un take appassionato di ''Caribbean Wind'', composizione cruciale per capire le difficoltà e i dubbi che Dylan stava attraversando e affrontando in quel periodo. Questo Volume 16, purtroppo, rinuncia a pubblicare una versione fondamentale di quest’ultimo brano, incisa nel marzo '81 e circolante su bootleg non ufficiali (è reperibile anche su YouTube) ma include un take mozzafiato di ''Angelina'', canzone pubblicata per la prima volta nel Volume 3 della Bootleg Series (i primi tre volumi uscirono tutti insieme nel 1991), anch'essa piena di immagini allegoriche difficili da decifrare e brano particolarmente cruciale per capire le preoccupazioni di carattere religioso che il cantautore stava sperimentando.

La dimensione reggae conosciuta dal Dylan '78 (vedasi il doppio album live At Budokan, contenente brani tratti dagli show giapponesi del febbraio e del marzo '78) riemerge in ''Don’t Ever Take Yourself Away'', outtake che qualche anno fa era comparso nella colonna sonora della serie TV Hawaii Five-O (2); essa sarebbe riemersa anche negli arrangiamenti di ''Knockin’ on Heaven’s Door'' della tournée 1981 (una versione è disponibile sul Volume 13) e in Infidels. Come sempre accade con Dylan, l’abilità di far propri pezzi altrui è un marchio di fabbrica. Di ''Let It Be Me'', una cover che Dylan aveva già registrato nel 1969 (2) e pubblicato su Self Portrait (1970), viene incluso un take che era stato pubblicato come B-side di un 7'' uscito in Europa nel 1981, Questa interpretazione è di una potenza e di una sincerità lancinanti: pare che il brano appartenga a Dylan, come se l'avesse scritta pochi minuti prima d’interpretarla. Particolarmente poetico è anche il mix alternativo di ''Lenny Bruce'', brano poco apprezzato dalla critica musicale, che contiene, invece, versi emozionanti e presenta una dolcezza rara. Proprio nella tournée 2019 Dylan aveva ricominciato a suonarla dal vivo al pianoforte con continuità.

La parte dedicata alle sessioni di Infidels è quella che occupa più spazio nel box set, ben due dischi su cinque, e riesce a offrire una panoramica particolarmente ampia e approfondita sulla genesi di un disco la cui produzione, stando a quanto si sa, era stata inizialmente affidata da Dylan a Frank Zappa (che rifiutò). A produrre l’album, e a suonarvi, fu invece Mark Knopfler, fresco dei successi coi Dire Straits e acclamato dalla critica come uno dei migliori chitarristi della sua generazione. Il sound ''caraibico'' di Infidels è evidente anche nelle sessioni, prive degli elementi finali della produzione, ma ciò non fa passare in secondo piano le atmosfere blues che, come ombre inquietanti, sembrano entrare quasi in ogni canzone. Esemplare, ovviamente, è il capolavoro inciso quell’anno, ''Blind Willie McTell'', composizione scandalosamente esclusa dal disco, una cupa riflessione sugli Stati Uniti e sul legame tra popolo afroamericano e popolo ebraico («this land is condemned / all the way from New Orleans to Jerusalem») mentre celebra uno dei più grandi bluesman della storia. Questa è il celebre take 5 già circolante su bootleg non ufficiali, molto differente da quello pubblicata nel 1991 sul Volume 3 della serie. Lì solo il pianoforte di Bob, la sua voce e la chitarra acustica di Knopfler troneggiavano; qui, invece, c'è il gruppo al completo, la chitarra è elettrica, i BPM aumentati e c’è un'armonica velenosa e pungente. Proprio poche settimane fa, in anticipazione a questo box set, la Third Man Records di Jack White ha pubblicato un 45'' con due versioni del brano, questo take 5 e il take 1, del tutto inedito e neppure compreso in questa uscita, anch’esso dall’atmosfera spettrale. Ma anche gli altri outtake sono di una qualità impressionante. ''Lord Protect My Child'', di cui un take era già stato pubblicato nel 1991, è commovente; ciò che rende unico Dylan, oltre al suo geniale talento nei testi, è la sua delivery unica: sputa fuori le parole come nessun altro mondo, e a noi arrivano come frecce. Altrettanto esaltanti sono ''Julius and Ethel'' e la romantica cover ''Angel Flying Too Close to the Ground''.

Come già scritto, è in questi anni che in Dylan emerge con forza sempre maggiore un nuovo modo di scrivere, differente dalle catene di immagini degli Anni Sessanta e anche dagli esperimenti narrativi in relazione al tempo, scomposizioni e ricomposizioni degne di un quadro cubista, figli degli insegnamenti del pittore Norman Raeben – come ci insegnano Alessandro Carrera e Fabio Fantuzzi – presenti nelle composizioni scritte tra il '74 e il '78. L’esperienza di Born Again Christian ora permette a Dylan di fare della Bibbia un uso differente da quello che aveva fatto fino ad allora. L’avvicinamento alla religione ebraica, poi, apre un capitolo ulteriormente nuovo, ulteriormente diverso da quello iniziato nel '79. L’allegoria adesso pare essere molto più presente. Dylan attraversa un periodo di lacerazioni interne, in primis religiose, e vive il dubbio come un punto di forza: ''Jokerman'' ne è un esempio perfetto. Il brano, biglietto da visita di Infidels, subisce una serie di revisioni che modificano profondamente il suo significato, e il «king among nations» (così canta Dylan nel take qui inserito) diventerà «friend of the martyr» nella versione poi pubblicata. «Il Levitico, il Deuteronomio, la Legge della Giungla e il mare sono i tuoi unici maestri», canta Dylan con fare un po’ sarcastico, teso più a creare dubbi che a offrire conferme, come ogni artista deve fare. Una versione alternativa di ''Sweetheart Like You'' non si sofferma sul cappello ma sugli stivali che indossa la donna, proprio in un brano che costò a Dylan qualche accusa di sessismo per il verso «a woman like you should be at home, that’s where you belong», che però viene estrapolato dal contesto tralasciando ciò che viene subito dopo, «taking care of somebody nice who don’t know how to do you wrong»: nient'affatto, insomma, la segregazione di una ragazza ma, anzi, la volontà di proteggerla da un uomo – probabilmente un politico – che si approfitta di lei, la mostra come un trofeo e forse la maltratta. Anche il take alternativo di ''I and I'' racchiude qualcosa di misterioso e di rivelatore.

I pezzi scelti dalle sessioni per Infidels offrono alcune epifanie di rilievo. Una è certamente ''Don’t Fall Apart on Me Tonight'', che Infidels lo chiudeva. Una prima versione ne fa una ballata da crooner, dolcissima e dalla melodia molto differente dalla versione poi pubblicata, un pezzo che avrebbe potuto far parte di Self Portrait. Già i bootleg non ufficiali avevano permesso di apprezzare più facce di questo brano, poetico e a suo modo scanzonato, che Dylan interpreta con una partecipazione quasi commovente. Altrettanto splendida è ''Someone’s Got a Hold of My Heart'', un take della quale era già stato pubblicato nel '91. Anche qui alcune immagini bibliche danno forma a un amore impossibile o in ogni caso fortemente ostacolato da varie vicissitudini. Ciò che caratterizza il narratore in questi pezzi è un immobilismo evidente, un’impossibilità di scuotersi che sembra dovuta, però, a fattori esterni, soprannaturali. Trionfali sono anche le due versioni di ''Too Late'' e il take inedito di ''Foot of Pride'': sono tutte la stessa canzone benché tra loro diversissime: l’ultima è, infatti, un’evoluzione della prima. ''Too Late'' non era mai circolata neppure in bootleg pirata (3) ed è una sorpresa entusiasmante, anche per il brillante metodo narrativo che Dylan adotta nel raccontare la storia. ''Death Is Not the End'', che sarebbe stata pubblicata nel 1988, compare in una pregevolissima versione estesa, finalmente completa.

La congiuntura tra Infidels e il successivo Empire Burlesque, particolarmente odiato dalla critica per la sua produzione pomposa e piuttosto debole ma contenente composizioni di enorme valore, è testimoniata da alcuni brani incisi proprio durante le sessioni del primo: ''Someone’s Got a Hold of My Heart'' sarebbe diventata ''Tight Connection to My Heart'', che nel nuovo mix qui incluso è eccezionale e che, come sanno i dylaniani, avrebbe brillato nelle (pochissime) esecuzioni dal vivo del 1990 e, in particolare, del 1993, e ''Clean Cut Kid'' sarebbe stata registrata di nuovo e pubblicata su Empire Burlesque. Il quinto e ultimo disco del set si concentra sulle sessioni di quest’ultimo, non prima di averci concesso anche una perla tratta dai concerti del 1984, ''Enough Is Enough'', e ''License to Kill'' registrata con la punk band Plugz per il David Letterman Show. Uno splendido take alternativo di ''I'll Remember You'' dimostra ancora una volta la qualità delle composizioni dylaniane del periodo, il lavoro di un artista che davvero non conosce alcun low point. Prova di ciò è anche l’appassionante take di ''Emotionally Yours'', meravigliosa ballata che in questa forma, priva della produzione che fu applicata all’album, perde ogni elemento di banalizzazione e fa emergere, così, la vivida potenza del testo.

Dopo due eccezionali versioni di ''When the Night Comes Falling from the Sky'', anche questo un brano che esplose nelle poche esecuzioni dal vivo tenutesi tra '86 e '87, si arriva ai brani più interessanti e poetici di queste sessioni. Il primo è ''New Danville Girl'', composta con Sam Shepard, prima versione di ''Brownsville Girl'', che sarebbe stata pubblicata su Knocked Out Loaded un anno dopo in forma differente, reincisa col testo in parte cambiato. Circolante anch'essa su bootleg non ufficiali da anni, può essere finalmente apprezzata in tutto il suo incedere epico. Il secondo, che chiude l’intero box set, è il gioiello folk ''Dark Eyes'', presentato in un take altrettanto riuscito rispetto a quello scelto per la pubblicazione in Empire Burlesque, un brano misterioso e labirintico che avrebbe trovato una sua dimensione dal vivo solo dieci anni dopo, quando Dylan la cantò insieme a Patti Smith in alcuni dei suoi concerti. «They tell me to be discreet / for all intended purposes. / They tell me revenge is sweet / and from where they stand I'm sure it is»: così canta il Poeta prima di soffiare ancora una volta nella sua armonica in G.

(1) Vedi https://www.rollingstone.com/music/music-news/clydie-king-ray-charles-bob-dylan-singer-dead-777417/. Ultimo accesso 23/09/2021.

(2) Vedi https://ultimateclassicrock.com/bob-dylan-dont-ever-take-yourself-away/. Ultimo accesso 23/09/2021.

(3) Per le informazioni sulle sessioni di registrazione in studio e sui concerti di Bob Dylan rimando al più affidabile sito in merito a questo tipo di dati, utilizzato anche da tutti i suoi più rilevanti studiosi: bjorner.com. Per la ''Let It Be Me'' incisa nel 1969, confronta http://www.bjorner.com/DSN01679%201969.htm. Ultimo accesso 20/09/2021.

(4) Quattro minuti di ''Too Late'' [Acoustic Version] dei quasi sei totali erano stati inseriti nel CD Dylan...Revisited (14 Of His Greatest Songs Reinterpreted For Uncut), una compilation uscita come allegato del magazine inglese Uncut il 15/04/2021 per festeggiare gli ottant’anni del cantautore. Contiene quattordici brani di Dylan interpretati da altri artisti e, appunto, una versione editata del take acustico di ''Too Late'', qui incluso per intero. Cfr. https://www.discogs.com/it/Various-Dylan-Revisited-14-Of-His-Greatest-Songs-Reinterpreted-For-Uncut/release/18263611. Ultimo accesso 20/09/2021.

(Samuele Conficoni)