FLUKTEN  "Velkommen håp"
   (2021 )

Sax, chitarra, basso, batteria. Però a distanza. I Flukten sono una band virtuale, approccio ormai tipico dal 2020 in poi. Durante il lockdown hanno inciso “Velkommen håp”, ognuno dal proprio posto; eppure la produzione non lo fa percepire per nulla, tanto sono collegate le intenzioni dei singoli componenti norvegesi.

Uscito per la ODIN Records, l'album parte con la titletrack, una sberla energica, in cui i jazzisti eseguono alcuni obbligati melodici all'unisono, per poi prendere deviazioni free. “Budeie boogie” swinga frenetico come un jazz classico di Monk, “Framsyning” ha suoni più morbidi, ma l'andamento sembra quasi anarchico, anche con l'ingresso della batteria. Si divertono a restare in qualche modo slegati.

“Barneblues” invece parte scandita dal contrabbasso ed è decisamente più rigorosa, nel suo mood intrigante, che ad un certo punto rivela il suo ritmo in 6/8, dopo averlo nascosto o “ingannato”, con gli strani accenti del tema melodico. In “Mellomspill”, sul riff ritmico di chitarra quasi funk, il sax si diverte a soffiare l'aria, simulando altro da sé. Si cambia clima con “Jonas og hvalen”, un brano più soffuso, dove la chitarra indugia su note meste e amare, su un tappeto morbido di contrabbasso e spazzole della batteria.

“Tennis med Torstein” fa ripartire un bass walking, senza però eccessi frenetici nel corso del brano. Un tema spiritoso invece apre “Bleik myrk legg”, che però si arresta presto, per lasciar spazio al contrabbasso solista. Quando è il momento del sax, Hanna Paulsberg avvia un'improvvisazione con molte pause ansiogene, che fanno ripartire la band in maniera più agitata di prima.

Per questo, è difficile credere che si siano davvero registrati a distanza, tanto è l'amalgama dimostrato, il feeling, come se suonassero insieme da anni (e potrebbe essere, come potrebbe essere la prima volta che incrocino gli strumenti, per i professionisti). L'energia continua a sprigionarsi con “Pave Toten Totten”, mai in maniera sguaiata, ma sempre incalzante. “Blomstrene” chiude l'album, una fine tranquilla che non si fa notare. Un jazz abbastanza classico, nella sua modernità, per chi lo cerca senza le recenti esagerazioni noise, core e post-post-tutto. (Gilberto Ongaro)