THE HORNETS  "Heavier than a stone"
   (2021 )

Il quartetto italiano The Hornets propone un solido rock molto diretto, che scorre su binari ben collaudati, sorretto dalle buone capacità compositive e dall’ottima perizia strumentale della band.

Divertenti e divertiti, The Hornets sono figli della voglia di suonare, nata per caso, quasi in famiglia (i membri della band sono due fratelli chitarristi, un vicino di casa al basso e un batterista reclutato strada facendo), e cresciuti nutrendo, prima di tutto, la loro passione.

I loro brani, rock’n’roll venato di blues e con derive hard, sono lasciati a macerare nella botte della vecchia scuola dei seventies, per apparire smacchiati dall’italianità e rilasciare le “good vibes” raccolte durante i tanti ascolti delle band dell’epoca d’oro; e se qualche volta, nelle composizioni, appare qualche passaggio già sentito, lo si può leggere come una citazione o come il dovuto omaggio a chi ti ha regalato momenti indimenticabili.

Ogni piccolo deragliamento verso destinazioni alternative alla War On Drugs (come nel singolo “Don’t talk about love”) rimane molto sottotraccia, ed è forse solo un abbaglio per l’uso della voce e dalla chitarra, sempre in primo piano, e molto carica di reverbero (un Fender Supereverb al volume 8, ci tiene a sottolineare la band nella cartella stampa).

Si sentono, invece, echi di Tom Petty in “Female Creed”, dei riff slabbrati alla Keith Richard, del cantato irriverente alla Jagger e dei coretti “stones” che fanno le linguacce sia in “Best” che in “Fighting man”, del rock’n’roll sferragliante da Animal House party in “Get out (…baby get out)”, di chitarroni Southern a trainare il treno dello scoppiettante rock blues filosofico “Superman (Nietzsche)”.

Il finale del disco si sposta leggermente su lidi più hard rock, con il gran tiro di “1997” e le evoluzioni chitarristiche di “Rockstar’s syndrome” e della conclusiva “Not so easy”.

Sicuramente siamo in presenza di una band che dà del tu agli strumenti e al genere in questione con un approccio molto umano, “troppo umano” (per rimanere in area Nietzsche), da spiriti liberi dalle forzature del mercato.

Percorrono percorsi già battuti, certo, ma lo fanno con leggerezza, a dispetto del titolo dell’opera “Heavier than a stone”. Sono certo che ci saranno sviluppi nel loro sound: in attesa, dal vivo, non me li perderei. (Lorenzo Montefreddo)