RIFRAZIONE "Artemoltiplicata"
(2021 )
Davvero un peccato che questo ep di sei brani duri solo diciotto minuti: ne avrei desiderato ancora e ben volentieri. Merce rara oggigiorno: per usare una terminologia desueta e invisa alle belle penne, ecco una bella bordata di indie-rock, con tutti i crismi al posto giusto e quel suono che purtroppo si è un po’ perso nel tempo, così come l’attitudine da cui nasce.
Pazienza, amen: di piccole perle come questa è opportuno bearsi, finché ce n’è.
Rifrazione è il moniker che cela il progetto solista di Giuseppe Giannecchini, autore e chitarrista viareggino; prodotto e arrangiato da Ugo Cappadonia (Stella Maris, ma anche collaborazioni con Sick Tamburo e Il Pan Del Diavolo, nonchè apprezzato solista), “Artemoltiplicata” segue di quattro anni il debutto di “Osservatori”, interamente suonato in perfetta solitudine, largamente strumentale, in parte cantato in inglese. Qui Giuseppe opta invece per l’italiano - scelta che conferisce al lavoro un’impronta più personale e meno derivativa - e si avvale del supporto di una band vera e propria, formata da Emanuele Alosi (batteria), Michele Zappoli (basso) e Filippo La Marca (tastiere).
Aperto dalla cadenza martellante à la Zen Circus di “Giuseppe Terragni”, omaggio esplicito all’opera del celebre architetto comasco, esponente di spicco del Razionalismo e attivo dagli anni ’20 del secolo scorso fino alla prematura scomparsa nel 1943, “Artemoltiplicata” infila una sequenza di brani tirati e dritti al punto, trame in quattro quarti squadrate e incisive placate soltanto nello strumentale pianistico “Vetro e vento”. Dal passo sornione di “Quale Dio” – un po’ Motta, un po’ Nevica Su Quattropuntozero – alla fosca, inquieta aggressività post-wave di “Le cose che non ho”, passando per “Prigionieri”, densa e satura a colpi di synth, fino alla chiusa di “Non è poco”, traccia che sembra arrivare direttamente da “Darklands” dei fratelli Reid con quel basso pulsante al centro a prendersi tutta la scena, l’ep è un piccolo prodigio di arte varia che ammicca a passate glorie mentre riflette – non senza profondità – sul qui-ed-ora.
Quasi anacronistico, decisamente attraente. (Manuel Maverna)