JOHN FRUSCIANTE & JOSH KLINGHOFFER  "A sphere in the heart of silence"
   (2004 )

A volte capita di sopravvalutarci, pensare di poter fare tutto. Ma non è affatto così. In particolare quando si lavora in ambiti a noi estranei, è difficile fare bene al primo colpo. “A Sphere in the Heart of Silence” è proprio questo. Un disco molto ingenuo, suonato con chissà quali pretese; è il quinto della Record Collection di Frusciante e probabilmente il peggiore. Non che sia privo di idee, ma tutto qui è approssimativo, spesso noioso e fine a se stesso. Fare un disco di elettronica con approssimazione è una contraddizione. Facile quindi capire quanto questo disco sia mal ideato. Il problema di fondo è che Frusciante ha preso l’abitudine di registrare dischi in poco tempo, con idee ancora abbozzate. Fin quando si parlava di ballate rock o jam sessions l’idea poteva funzionare. Ma quando si è alle prese con sintetizzatori e altri strumenti elettronici, non si può pretendere di improvvisare. Nascono quindi pasticci come “Sphere”, una ragnatela ingarbugliata, una sonnolenta danza elettronica senza il minimo valore artistico, che, per di più, dura 8 minuti e mezzo. “Communique” ne dura 3 in meno, ma l’effetto soporifero è il medesimo. Troviamo Josh Klinghoffer alla voce; il suo timbro passionale e sofferto poteva essere sfruttato meglio, perché in fondo la melodia è affascinante, ma si trova in un deserto musicale di noia e ripetitività. “At Your Enemies” è appena migliore, se non altro è più caratteristica e particolare. Ma detto sinceramente, canzoni come queste non hanno motivo di essere ascoltate da nessuno, non sono gradevoli e non hanno nessuna finalità artistica. Sono solo un inutile gioco di commistioni, tra l’altro molto rudimentali. Se il signor Frusciante avesse suonato queste stesse tracce con la sua Fender il risultato sarebbe stato molto migliore, se non altro più gradevole. “Surrogate People” è la melodia più azzeccata, un intreccio tra la voce femminea di Josh e i gorgheggi agrodolci di John. Ma non è meno noiosa delle altre. Analizzando canzoni come questa, i difetti riscontrabili sono pochi, ma l’aridità emotiva è tale da svalutarle completamente. È un mero esercizio di stile, mal progettato tra l’altro. Le idee migliori le troviamo con “The Afterglow”, una danza ipnotica che ravviva leggermente il tutto, e “Walls”, forse l’unico brano degno di nota. Un interessante beat elettronico e scariche elettriche fanno da supporto alla rabbia inusuale espressa dalle grida disumane di Frusciante. A questo si aggiungono le parole sussurrate, i riverberi ed i numerosi suoni in sottofondo. Un ottimo risultato, che fa capire quanto invece fossero mal concepiti gli altri pezzi. “My Life” non ha niente in comune con le altre canzoni. È una ballata vespertina, semplice quanto misurata. In conclusione, su 7 brani, quelli veramente orrendi sono 2. Un altro paio lasciano indifferenti e i restanti 3 si fanno ascoltare. Ma l’unico vero bel pezzo è “Walls”. Ci dispiace signor Frusciante, ma è rimandato a Settembre. (Fabio Busi)