KENNETH KIRSCHNER & JOSEPH BRANCIFORTE  "From the machine, vol.1"
   (2021 )

Utilizzare gli algoritmi di un software, per comporre musica in maniera rigorosamente matematica, è solitamente un approccio della musica elettronica, pensata per strumenti elettronici. Kenneth Kirschner e Joseph Branciforte, invece, hanno adottato questo metodo (con buona dose di fasi aleatorie, generate dalla macchina), per poi far suonare le partiture così ottenute ad un pianoforte e ad un quartetto d’archi (violino, viola, violoncello, contrabbasso).

Il risultato è non–metrico. Nelle due tracce di “From the machine, vol.1”, non ci sono appigli ritmici ai quali aggrapparsi. La struttura è sbriciolata, inafferrabile. Difficile anche incasellare i 25 minuti della performance chiamata “April 20, 2015” nella comoda definizione dell’atonalità, poiché le dissonanze, quando ci sono, sono casuali, non ricercate, e vale anche per le consonanze.

Ogni musicista esegue fedelmente il proprio spartito, ognuno col proprio tempo metrico. E se per un attimo sembra di afferrare il loop, è solo un istante. Come quando si ascoltano tre campane di una chiesa suonare: ognuna ha un’oscillazione regolare, ma diversa da quella delle altre due, e quindi ogni tanto si incontrano, e nel restante tempo ognuna va per conto suo. Solo che qui, il numero delle oscillazioni non è due, come i movimenti delle campane; sono decine, forse centinaia, ed è un esercizio inutile cercare di coglierle. Meglio godersi quest’illusione di anarchia completa, lasciandosi sorprendere dalle corde di volta in volta toccate.

Questo per la prima traccia. La seconda invece, “0123”, di 18 minuti, è più chiaramente dissonante in maniera voluta, e al contempo più regolare. Gli archi eseguono note di egual durata e in maniera omoritmica, come degli impulsi costanti. Tutti iniziano e si fermano nello stesso momento. Qui si percepisce maggiormente, la provenienza robotica della scrittura. Sembra di tradurre in musica quattro linee di un sismografo, che quando la scossa si ferma, tutti e quattro i pennini si fermano. L’esito qui forse è meno amichevole del precedente, ma ha lo stesso carattere di ricerca scientifica. E il fatto che il nome del lavoro porti la dicitura “vol. 1”, fa presagire che i due compositori abbiano già in serbo qualcosa per il futuro. (Gilberto Ongaro)