RICK ASTLEY  "Whenever you need somebody"
   (1987 )

Ci sono sigle che restano nella storia. Mogol-Battisti, Lennon-McCartney, Tom & Jerry, Cicciolina & Moana ai mondiali. Così fu anche per questo trio di produttori inglesi, Stock-Aitken-Waterman, che a metà degli anni ’80 presero per mano il pop britannico e lo condussero ad alti fasti, con una formula invero ripetitiva all’estremo (provate a prendere qualche mix e confrontateli: non ne uscirete vivi). Ci fu la riesumazione di Donna Summer, l’elevazione delle Bananarama, la scoperta di Kylie Minogue, varie ed eventuali. E il successo di Rick. Leggenda vuole che venne pescato in un bar, dove non si capì bene se stesse facendo pianobar o servendo ai tavoli, venne notata la sua voce baritonale sotto un ciospo di capelli rosso, e il contratto discografico arrivò subito. L’album di esordio spopolò, trainato da “Never gonna give you up” e dalla title track; la voce calda del ragazzotto rendeva appetibile il prodotto anche a chi non era un teenager alla ricerca dell’ultima moda, e una cover di “When I fall in love” dimostrò che il soggetto poteva cimentarsi anche al di fuori del dancefloor o delle radio. Pop all’ennesima potenza, ripetitivo, ma con un suo perché, mentre attorno a lui, come detto, nascevano tanti cloni figli del trio S-A-W: fate cantare a Rick Astley “I should be so lucky”, o “Together forever” alla Kylie, e il risultato non cambierà. Munto come una mucca, mandato subito in sala di registrazione per l’album successivo, gli allori discografici non sarebbero più stati gli stessi. Slegatosi dal trio di produttori, e cercato il successo con parole sue, sarebbe caduto presto nel dimenticatoio. Con il suo vestitino elegante da prima comunione, il capello laccato come nemmeno Ricky Cunningham, di lui dissero “era troppo garbato per godere dei privilegi del successo”. Forse, alla sera, invece di impasticcarsi andava a leggere i vespri e a rimboccare le coperte dell’anziana nonna. (Enrico Faggiano)