MAULGRUPPE  "Hitsignale"
   (2021 )

Già il fatto che la cartella stampa sia interamente in tedesco, senza traduzione, è a suo modo intrigante.

Già la constatazione che in rete di notizie sul Maulgruppe ne circolino ben poche, e tutte in tedesco, rende la cosa ancora più misteriosa: ma spunta un nome, quello di Jens Rachut, e allora la questione inizia ad avere un senso.

In pratica, Maulgruppe è un progetto varato un paio d’anni fa dalla fusione di Frank Otto e Markus Brengartner – rispettivamente chitarra e batteria negli Yass – e di Jens Rachut, oggi sessantasettenne originario di Amburgo, figura che definire “artista” sarebbe riduttivo. Con l’aggiunta di Wieland Krämer al basso, in questo devastante “Hitsignale” su Major Label danno seguito al debutto di “Tiere in Tschernobyl”, datato 2019 e già perfettamente in linea con la strabordante, istrionica personalità di Jens. Il quale è cantante, attore teatrale, autore di piéce radiofoniche e molto altro. Attivo fin dagli anni Ottanta tra le fila di innumerevoli band da lui dirette, fondate, smembrate, abbandonate eccetera, veste qui i panni di uno sciamano invasato alle prese con un ubriacante tritacarne sonico che ben volentieri pressa e maciulla ogni accenno di melodia, tuttavia mai perdendo di vista una certa godibilità di fondo.

Undici tracce in trentatre minuti segnano il perimetro di un album votato ad un post-punk violentissimo, che talora flirta con schegge di electro-pop storto come dei Le Femme in acido (“Im Pferd geblieben”), tra bordate noisy, elettricità disturbatissima e fragorose iniezioni di elettronica barbarica, un post-qualcosa tra residui di garage rivisitato (“Studentenserum”) e detriti di rock apocalittico trafitto dai vocalizzi espressionisti di Jens, ulteriormente inferociti ed inaspriti dal canto in tedesco (la furente opener “Prim die zahl”, la martellante title-track). L’impianto che regge tutto è una cattedrale di suono aggressiva e tiratissima, meno votata ai synth rispetto all’esordio, brani squadrati da tre minuti sparati in faccia come aria compressa, up-tempo incalzanti in minore (“Oktober”), il basso a pulsare come un pugno nello stomaco su architetture spartane ed ostinate che sistematicamente rinunciano al classico schema strofa/ritornello.

Strutturalmente, è quasi un reading (altra specialità di casa Rachut): mentre la band macina giri su giri, Jens declama ieratico i suoi proclami in uno spoken word che oscilla tra grida (“Narzissenwelt”) e marzialità teutonica (“Geisteraffen”) in un parossismo che raggiunge il climax nella chiusa straziata di “Kakteen verblühen nie”, duetto a suo modo toccante con Françoise Cactus (già nei meravigliosi Stereo Total di Brezel Göring), scomparsa purtroppo nel febbraio di quest’anno.

Ad aleggiare su tutto, una malsana, soffocante, opprimente aria di anni Novanta marciti come fiori recisi: lo splendore nella decadenza. (Manuel Maverna)