LA SERPE D'ORO  "Il pane e la sassata (l’amore… è come l’ellera?)"
   (2021 )

Chi è convinto che la genuina veracità sia un’esclusiva espressiva riconoscibile solo a Napoli… beh, si dovrà ricredere poiché dentro al progetto senese de La Serpe d’Oro ce n’è altrettanta, se non addirittura di più in alcuni frangenti.

Sì, perché il combo toscano vuole “ri-educare” alcuni brani della natia tradizione popolare inclusi nel secondo album “Il pane e la sassata (l’amore… è come l’ellera?)” per svilupparli con criterio credibile e convincente, non con spirito rurale ma con un’ottica verace, leale e (perché no?) in una sorta di remixaggio culturale che possa dare senso e concretezza rielaborativa.

E’ una scorpacciata folk che oltrepassa l’ora abbondante d’ascolto (che, di questi tempi, può apparire eccessivo), ma la loro controtendenza si evidenzia anche in questo: “tradire per rimaner fedeli”, come tramanda certa filosofia. Un collettivo che nasce in quartetto per poi estendersi con nuovi innesti di formazione e collaborazioni. Ecco che le presenze di Caterina Bueno, Pamela Larese, Claudio Riggio e Stefano Giannotti sono pilastri necessari per dare saldezza all’insieme, creato da Igor Vazzaz e soci.

L’altra idea di base è quella di performare il teatro-canzone, non riservato solo a nicchie amabili ma per farlo fluire a platee più vaste, notificando così il gran valore emozionale ed ideologico. Certo, nell’era del pragmatismo e con la frenesia delle lancette, appare impresa titanica fermarsi ad analizzare e a ponderare i contenuti, ma la caparbietà de La Serpe d’Oro farà si che qualcosa, senz’altro, smuoverà e qualcuno (ne sono convinto) ringrazierà per il recupero culturale che ne deriva.

Il ventaglio propositivo è sdoganato in vari aspetti stilistici e letterari: ci sono episodi spillati da Johnny Cash (“Folsom prison blues” che diventa “Marassi blues”), o la decameronesca “Amor, la valga luce”, nata (come nel 1348) in similare lockdown (all’epoca per la peste) ed accomunati dal trait-d’union dolorifico. Invece, dalla genialità di Jannacci, i ragazzi rileggono la vibratile e quanto mai sottovalutata “Sfiorisci bel fiore”: sia loro che De Gregori non l’hanno mai dimenticata, regalandosi le continue emozioni che trasmette l’ineffabilità del brano, aperto ad ampie interpretazioni.

Da incalliti toscanacci, la band non tradisce il detto popolare di avere anche loro “il cielo negli occhi e l’inferno in bocca”, saltellando dal folk al blues alla pura canzone d’autore, sbocciando con intenti acustici ed elettronici dal forte sapore etno-popolare. Insomma, “Il pane e la sassata” non è solo un gioco di contrasti, una ludica sfida tra antipodi concettuali, ma è un guru ideologico di forza, fatica, lavoro, dedizione, coerenza e amore per le tradizioni, nel quale i 18 pezzi in carnet, scalpitano non poco per ri-nascere sotto nuova luce. Di conseguenza, la Serpe d’Oro sapeva bene che, rinunciando a scrutare il repertorio del passato, si sarebbe preclusa la grande chance d’interrogarsi sul futuro. (Max Casali)