NORMAN WESTBERG & JACEK MAZURKIEWICZ "First man in the moon "
(2021 )
Norman Westberg, dopo aver eretto, per anni, muri di chitarre per sostenere le canzoni degli Swans, nel 2012 decide di intraprendere una strada personale sfornando prima una serie di cd autoprodotti, poi affidandosi per la distribuzione a etichette e piattaforme specializzate come Hallow Ground (come accade in questo caso) o Room40.
In “First Man in the Moon”, Westberg decide di collaborare con l’innovativo sperimentatore Jacek Mazurkiewicz, produttore e compositore che si definisce sound hooligan per la sua capacità di estrarre suoni inimmaginabili dal suo contrabbasso.
Il leggendario chitarrista e il geniale contrabbassista, una coppia di menti agitate da diversi fantasmi, che hanno animato sicuramente il loro incontro.
Infatti i due, dediti all’improvvisazione, all’abstract jazz e alla musica sperimentale, chiusi in uno studio insieme non potevano che partorire un’opera che sfugge alle definizioni, ma che, comunque, tende all’ambient, creando soundscape e mondi immateriali percepibile solo tramite i suoni dei loro strumenti.
Il titolo dell’opera “First Man in the Moon” ci potrebbe dare una chiave per decifrare le emozioni che il duo vuole trasmettere: parliamo di assenza di gravità, spazi aperti inesplorati, sensazioni di vuoto, sovrastati dalla volta celeste scura e immensa, misteriosa e affascinante, che incute timore e ci fa sentire un granello di sabbia in un universo sterminato.
Cinque tracce evocative, di sospensione pura, dove si galleggia in una sorta di liquido amniotico in cui tutto si forma e si disperde, con nulla a cui potersi aggrappare, dove si fluttua in balia dei riverberi chitarristici di Norman, dei bordoni emessi dal contrabasso di Mazurkiewicz e dalle mille altre diavolerie messe in campo dai due musicisti.
Si sente la spontaneità dell’improvvisazione ma anche l’intenzione di canalizzarla in un flusso comune con gli strumenti che raramente si incontrano, ma danno la percezione di procedere su una traiettoria condivisa.
Si parte con “What Is Good for The Goose”, una lenta messa a fuoco di un panorama indefinito tra sinistri cigolii e tappeti spaziali, si passa attraverso le luminose scie chitarristiche di “That Was Then”, al volo libero e incontrollato di “First Man in the Moon”, ed al lento liquefarsi delle reiterazioni circolari di “Falsely Accused”, fino alle onde sonore di “Oxnard” che ci riportano lentamente alla realtà.
Un disco sicuramente impegnativo, un’immersione totale fino al distacco dal presente e al superamento della forza di gravità. (Lorenzo Montefreddo)