BIG RIVER "Girl with nails painted black"
(2021 )
Bolognesi, ma cresciuti artisticamente con lo sguardo rivolto al sud degli Stati Uniti, marchiati nel cuore dal fuoco della passione per la country music, i Big River firmano il loro esordio discografico con questo EP di sei brani.
Un assaggio delle loro capacità alle prese con chitarre, lap steel e armonica, ma anche un tentativo di creare un sound personale con l’ausilio di loop station, synth e drum machine, strumenti non proprio di casa nel mondo del country blues.
Un approccio innovativo che regala sorprese senza essere troppo invadente, trovando il giusto compromesso tra i suoni distaccati dell’elettronica e il calore e la partecipazione che il genere richiede.
I Big River, ovvero Federico Martinelli e Pierluigi Punzo, sono un duo di chitarristi /cantanti con i cappelli da cowboy che, rodati da un’intensa attività live in giro per l’Italia e all’estero, decidono di entrare in studio a registrare il primo album di inediti, anche se, per la precisione, i brani originali sono quattro accompagnati da due cover.
Le composizioni del duo hanno il dono dell’immediatezza, arrivano subito e colgono nel segno parlando di quotidianità, fra sofferenze, amori passeggeri, cieli grigi sotto quali si vivono vite di sacrifici.
“Ride My Beer”, l’ariosa ballata che apre l’Ep, ricorda le cose più riflessive degli X e il modo di interpretare di John Doe, tra arpeggi in loop e inserti digitali un po’ spiazzanti.
“Girl With Nails Painted Black”, la title track, dylaniana fino al midollo, nostalgica e delicata, è il brano più ispirato del disco.
“Gray Sky” sostenuta da uno slide sanguinoso, è una road song dolente e vissuta con coretto finale da cantare al pub a fine serata quando la sbronza diventa un po’ malinconica.
Il singolo “Local Weapon” è un blues arrembante con bassi e cassa digitali più l’armonica ululante di Carmine LampareIlì a tirare, ideale per aprire le serate live del duo.
La prima cover è un tradizionale ripreso anche dai Credence Clearwater Revival, “Cotton Field”, qui introdotto da una vecchia registrazione: il duo dà la sensazione di essere molto a suo agio sia col brano che con il coro a cappella dell’intro dove mette in luce buone qualità vocali.
Chiude “Ghost Riders In the Sky” di Stan Jones, classico del repertorio di Johnny Cash e dei Blues Brothers, qui rivisitata in una cavalcata avveniristica tra urla di indiani, spari e il classico nitrito, più synth e drum machine a reggere la ritmica.
Per cui buone notizie dal Tennessee, anzi da Bologna, i Big River suonano la musica che amano e, oltre a farlo molto bene, aprono una finestra per arieggiare un po’ l’ambiente trovando soluzioni per svecchiare un genere molto legato alla tradizione. Siete a cavallo ragazzi. Yeah. (Lorenzo Montefreddo)