THE NOTWIST "Vertigo days"
(2021 )
Tornano i Notwist, la band tedesca autrice di “Shrink” e “Neon Golden”, due album che, oltre a essere pietre miliari del genere indietronica, hanno segnato un’epoca e rivoluzionato il modo di comporre delle generazioni successive.
Ora, a quasi trent’anni di carriera e una decina di album all’attivo, escono con la loro ultima fatica “Vertigo Days”, che come tutti i loro album rispetta la regola delle lunghe distanze tra un’uscita e la successiva: in questo caso sono dovuti passare addirittura sei anni.
La band dei fratelli Archer, ora orfana di Martin Gretschmann, si presenta comunque in buona forma e, senza stravolgere troppo la ricetta vincente della sua formula musicale, riesce a proporre sviluppi alternativi, mescolando nuove suggestioni e nuovi orizzonti sonori.
Rimangono vive le grandi abilità dei Notwist di trovare il modo di far convivere il pop con la sperimentazione, i freddi beat dell’elettronica con il calore disincantato dell’indie rock, la grande capacità di raggiungere momenti fortemente emozionali con la voce sussurrata e discreta di Marcus Archer appoggiata alle ritmiche metronomiche che rimandano a un passato sempre attuale, quello del krautrock tedesco dei primi anni settanta.
Dimostrano di saper ancora a far sussultare i cuori degli indie rocker quando si affidano ai meccanismi collaudati con due gioiellini come “Sans Soleil” e “Where You Find“, o quando trovano espedienti drammatici come lo svuotamento ritmico di ”Into the Ice Age”, con la sola nuda e fragile voce di Marcus Archer che rimane a far percepire il gelo profondo mitigato solo dalla fiammella tremolante del clarinetto jazz di Angel Bat Dawid.
Fanno centro anche gli episodi più intimi come le due versioni di “Into Love /Stars” e “Into Love Again”, stesso brano con arrangiamenti diversi che apre e chiude il disco. La prima parte inizia con piano e voce per evolversi in un coinvolgente crescendo ritmico tra vibrafoni, loop e percussioni, la seconda è più sommessa, con una coda di eterei intrecci tra cori sognanti e il sax di Zayaendo.
Aggiunge un tocco gotico la ninna nanna blonderedheadana “Night Too Dark”, e poi non mancano nemmeno le nevrosi da Man-Machine alla Kraftwerk in “Exit to the Strategy”.
Ma la particolarità del disco sta nelle collaborazioni con artisti intercettati da Markus Archer nelle proprie attività parallele; e in” Vertigo Days” Archer è addirittura disposto a cedere il microfono in tre occasioni. L’onore spetta a Saya dei Tenniscoats in “Ship” (una sorta di Can speziati in salsa di soya, molto stereolabbiani), alla songwriter elettronica argentina Juana Molina in “Al Sur” (beat pulsanti di corazon sudamericano con meccaniche teutoniche) e per il dilatato trip hop “Oh Sweet Fire” con il poli-strumentista Ben LaMar Gay.
Insomma, forse non sarà il miglior disco dei Notwist, ma è un capitolo importante, significativo della loro carriera, con tanti ottimi brani che andranno a rimpinguare il già ricco repertorio della band.
Il disco è la dimostrazione che i Notwist, da vecchi (ma neanche troppo) shoegazer, hanno voglia di alzare lo sguardo, e anche se quello che vedono fa venire le vertigini (“Vertigo Days”). E sentire i brividi (“Into the Ice Age”) è sempre meglio che continuare a guardarsi le scarpe. (Lorenzo Montefreddo)