PAOLO SIMONI  "Anima"
   (2021 )

Paul Simon – ops – Paolo Simoni è un cantautore che scrive togliendo l’inchiostro alla penna, e mettendoci dentro la propria anima. Del resto, Simoni pensa sempre all’anima, fin da quando la evocava al suo esordio nel 2007, cantando “Mahatma, mahatma, grande anima”. Ed ora, la sua nuova uscita discografica si intitola proprio “Anima”, ed è essenzialmente composta da pianoforte e voce. E nella canzone d’apertura, “L’anima vuole”, Paolo è affiancato nientemeno che da Roberto Vecchioni e dalla sua costante enfasi: Vecchioni farebbe emozionare anche cantando la lista della spesa. Il brano apre come dal mezzo di una riflessione, senza sapere com’era cominciata: “E poi ti ritrovi in mezzo a tanta gente, che come te si fa le stesse identiche domande (…) fingiamo l'allegria, fingiamo il dolore, fingiamo di sapere (…) oh anima, come aquila vola libera”. Il pianoforte si fa più giocondo, strizzando l’occhio al ragtime, con “Porno società”. Lo sguardo si pone su come viviamo e sulle nostre bislacche priorità: “Perfezioniamo il nostro inglese, molto meno questo vivere (…) i tuoi sogni sono monete da gettare nella fontana, poi di notte qualcuno passa e di nuovo tabula rasa (…) ti senti vivo ma non abbastanza (…) Naufragati in questa porno società, sospettati di arrivismo e di vanità”. Si entra nell’amore e nella timidezza con “Cuore di ragazzo”, regalando versi ad effetto: “Quante volte devo morire per sentirmi vivo? Perché mi svegliano sempre le sberle, ed io mai per primo?”. “Imparare a vivere” è una sfilza di consigli forse sorpassabile, ma la forza di Paolo è la sua trasparenza: anche in una canzone un po’ da insegnante come questa, si sente che è genuino e mai forzato. Ed ecco infatti arrivare “Non sono altro che un artista”, che prende per il cuore chiunque abbia un po’ di sensibilità, ma in particolare chi dipinge, balla, canta, recita, scrive romanzi, insomma chi ha un lato artistico. Perché ogni artista, ad un certo punto si sente “un farabutto innamorato che chiama il mondo ‘casa mia’, con i carboni sotto i piedi, e le orecchie a calamita (…) L'astronauta che non vuole rientrare (…) uno che ha voglia di giocare”. “E invece importa” è un’invettiva intelligente verso il menefreghismo zuccherato, di un sistema che nega i sentimenti negativi: “Può succedere di sentirsi presi in giro dalla mercificazione del pensiero positivo a tutti i costi (…) non è una vergogna mostrare il proprio dolore”. “Amico mio” è uno di quei pezzi a cui vorresti reagire con cinismo e sarcasmo, e invece poi ti scende la lacrima lo stesso, per l’interpretazione vocale e l’accompagnamento dolce del piano. Ma anche perché Paolo è abile a gestire le parole, facendo venire gli occhi lucidi solo alla fine: “Non ti dimenticare che siamo quello che pensiamo, quello che immaginiamo, siamo quello che sogniamo, e in questo sogno ho messo anche te”. Grazie, ho finito i fazzolettini! E ancora continua a farci male con “Eterna estate”, evocando una nostalgia vaga e precisa allo stesso tempo: “Ancora sento addosso sì, quella voglia di rivederci là, dove abitano i sogni, là, dov'è tutto ancora limpido, là dove le nostre anime ancora giocano, in quell'eterna estate”. Non manca la dedica al cane, “4 zampe”, dove sono riversi i pensieri che chiunque abbia un animale ha pensato almeno una volta: “Sembra che ti manchi solo la parola”. E l’album si chiude con la spiritosa “Augh”, che tra il “covo di pantere” che è il mercato, e le persone in fila indiana che cercano di cambiare questo Bel Paese, ci caccia un ritornello con accordi inaspettati per il genere (la / do / re) con una speranza condivisa: “Sogno un nuovo Rinascimento, qualcosa qui sta finendo, sogno un nuovo Rinascimento, sento che cambia il vento”! Eh, speriamo Paolo, speriamo! (Gilberto Ongaro)