MESIAS MAIGUASHCA "Oeldorf 8 (for magnetic tape and four)"
(2020 )
Ah, che gran cosa la tecnologia applicata alla musica. Riusciamo a recuperare in altissima qualità lavori del passato. In questo caso stiamo parlando di Mesìas Maiguashca, compositore dell’Ecuador, che negli anni Settanta si trova a collaborare nientedimeno che con Karlheinz Stockhausen. Nel 1974 realizza, con il gruppo di lavoro Oeldorf, una performance presso le leggendarie scuole di Darmstadt, e nel 1975 sarà poi incisa. “Oeldorf 8 (for magnetic tape and four)” è ora ripubblicata da Karlrecords: si tratta di 48 minuti entusiasmanti, per chi ama le avanguardie novecentesche. I 4 strumentisti sono Joachim Krist al violino, Dietrich Fritsche al clarinetto, Gabriele Schumacher al violoncello, Peter Eӧtvӧs all’organo elettronico e lo stesso Mesìas Maiguashca sta alla direzione. Ma c’è anche un’elaborazione di nastri magnetici, e l’utilizzo della modulazione di frequenza che rendono una realtà sonica rumorosa ed elettrica. La performance inizia con lo spoken word di Mesìas, in tedesco, dove presenta il progetto che andremo ad ascoltare. In sintesi, spiega che la sua è arte informale e collettiva. Gli impulsi degli strumenti vengono elaborati elettronicamente e i risultati messi insieme (zusammengestelt). La spiegazione però non è separata dall’esibizione, fa parte della composizione stessa. Infatti, gli esperimenti elettroacustici iniziano prima che lui termini di parlare, come disturbi che alla fine sovrastano la sua logorrea. E per dieci buoni minuti stiamo nel flusso di nastri e disturbi, raggiunti gradualmente dagli strumenti tradizionali che poi diventano i protagonisti. Dissonanti, e che tessono loop ossessivi di note, ma sempre in un’ottica di riconoscibilità dello strumento. Verso il 32esimo minuto invece, gli strumenti sembrano iniziare a imitare l’atteggiamento dell’elettroacustica, che infatti, sentendosi chiamata in causa, torna ad accompagnarli, mentre gli archi sostengono un angoscioso crescendo bartokiano. Il tutto sarà poi assorbito dalle modulazioni, tra suoni statici e ondulati e un divertimento di manopole che deformano l’onda. Alla fine dello sfumato, i musicisti pronunciano il proprio nome, come dei veri propri titoli di coda. E anch’essi sono disturbati dall’elettroacustica. Finite le presentazioni, non è finita la musica: violino e clarinetto piangono e ronzano ancora agitati, sopra il terreno ruvido del violoncello e circondati dalle sfere di cristallo dell’organo. Buon viaggio nel 1975! (Gilberto Ongaro)