DONATI-COPPARI ENSEMBLE  "A portrait of Radiohead"
   (2020 )

I Radiohead sono, probabilmente l’ultimo grande gruppo a rinverdire i fasti delle epopee rock. Come tutte i grandi hanno saputo aggiornarsi, riadattarsi e reinventarsi, ma tenendo sempre un marchio di fabbrica che permette di riconoscerli solo dopo poche note.

Hanno scritto classici oramai assurti al rango di musica da ascensore e supermercato, ma anche brani a cui si fa fatica a rimanere indifferenti e che, a chi li segue come il sottoscritto, sono penetrati sottopelle, diventando una colonna sonora che ha segnato le tappe della nostre vite per circa un ventennio.

Una fama e venerazione così non può che riversarsi in questa forma di emulazione che è la cover, sigillante di un senso di appartenenza alla tribu’ di fans, che oltre a materializzare capacità musicali e interpretative crea anche un certo distacco dal resto della folla idolatrante. Infatti basta digitare su youTube Radiohead cover, e avrete un oceano di chitarristi, cantanti, arpisti, ukuleisti che vi delizieranno con le loro versioni interiorizzate del destabilizzante immaginario di Thom Yorke e compagni.

Le raccolte di cover dei Radiohead che hanno avuto più clamore sono state quelle che ne hanno stravolto l’indole come le versioni reggae degli Easy Star All Stars in Radiodread (titolo geniale ed eloquente) oppure le esilaranti mutazioni lounge di Richard Cheese.

Anche Il duo di chitarristi jazz ,compositori e arrangiatori Diego Donati e Stefano Coppari decide di proporci la loro idea del mondo Radiohead partendo prima da una rilettura per sole chitarre, poi, resisi conto della scelta limitante, decidono di allargare l’ensemble con una sezione ritmica, composta da Lorenzo Scipioni al contrabbasso e Roberto Desiderio alla batteria, più un quartetto d'archi, formato da Riccardo Bottegal e Lucia Guerrieri ai violini, Malgorzata Maria Bartman alla viola e Francesco Alessandro De Felice al cello, e infine una voce, quella dell’ottima cantante Anna Laura Alvear Calderon.

Il risultato è una sorta di rivisitazione acustico/orchestrale accompagnata dall’ispirata voce femminile di Anna Laura e condita con digressioni strumentali dal sapore jazz. La sostituzione delle parti di distorsione (tranne che nel convulso finale di “We Suck the Young Blood”) e di tutte le altre diavolerie elettroniche con partiture per archi, chitarre leggere e svolazzanti, fughe di contrabasso, batterie swing e sezioni ritmiche con spazzole, crea un clima più caldo e avvolgente rispetto alle esecuzioni originali della band di Oxford. Le avvicina emotivamente, portandole in un mondo fiabesco, senza però stravolgere troppo l’impatto e la magia.

Poi la presenza di brani dei dischi più celebrati, tratti dal periodo d’oro (dal 1997 al 2003) da “Ok Computer” a “Hail to the Thief”, rendono “A portrait of Radiohead” una raccolta di classici magistralmente riarrangiati. Cosi arriva una “Pyramid song” privata del pianoforte ma scaldata dagli archi, ed è subito un balzo al cuore con “Paranoid android”, con la linea melodica della prima parte ceduta agli eleganti intrecci di archi e chitarre, o “We Suck the Young Blood” che sembra uscita da un album dei Portishead. Si scongelano anche un po’ le atmosfere glaciali di "How To Disappear Completely", mentre la versione scampanellante di “No surprises” diventa un perfetta colonna sonora per il mesto natale che ci aspetta.

Ma tutto “A portrait of Radiohead” può essere uno stimolante regalo di Natale in grado di risolvere anche qualche serata e nottata nostalgiche durante queste feste davvero particolari. (Lorenzo Montefreddo)