SILVIO CAPECCIA  "Silvio Capeccia plays Decibel - Piano solo"
   (2020 )

Una volta erano gli strumentisti che facevano la differenza.

Certi dischi si compravano solo perché li suonavano musicisti che, oltre alla tecnica, aggiungevano gusto, eleganza e soluzioni geniali.

Anche nei concerti, la presenza di gente del calibro di Adrian Belew, Tony Levin, Rick Wakeman valeva da sola il prezzo del biglietto.

Altri tempi e altri modi di porsi nei confronti della musica dal vivo rispetto ai concerti “karaoke” a cui si assiste negli ultimi tempi in cui tutti sono impegnati a cantare, come rematori, il ritornello accattivante e guai avere di fianco un’aspirante cantante o peggio ancora lo stonato cronico.

Silvio Capeccia, per chi non lo sapesse, è un tastierista e compositore, membro dei Decibel, storica band in cui Enrico Ruggeri ha mosso i primi passi prima della carriera solista, per poi tornare insieme nel 2017.

Una band nata in piena esplosione punk, ma già dal secondo disco la definizione “punk” le andava un po’ stretta. Si intravedeva un’inclinazione più raffinata, più vicina a Roxy Music, Bowie, Stranglers e Ultravox.

“Silvio Capeccia plays Decibel - Piano solo” ripercorre la carriera del gruppo riarrangiando alcuni dei brani più rappresentativi per solo pianoforte, e anche se lui si definisce un pianista non di estrazione classica perché non ha concluso il conservatorio per dedicarsi ai Decibel (ai tempi ancora Champagne Molotov), riesce a trasformare il repertorio della band in una serie di sonate con risultati sorprendenti.

Come dire: la Musica punk (più post punk) che diventa classica.

Alcuni brani hanno già una forte radice pianistica abbastanza marcata come l’arcinota “Contessa”, “Peggio per te”, “Valzer Bianco Radioattivo” (brano interamente composto da Silvio Capeccia), o “Triste storia di un cantante” arricchita da una svisata alla Jerry Lee Lewis, altri invece prendono una veste completamente nuova e inattesa come il notturno finale “Buonanotte”.

Invece, brani come “Ultima donna”, “Crudele poesia”, “My acid queen”, pur conservando il mood originale anche se denudate del testo, in questa chiave pianistica riescono a far affiorare una maggiore incisività a livello emozionale.

Forse un disco da assaporare poco alla volta, come un buon vino, evitando di mandarlo giù tutto di un fiato, alternando all’ascolto delle versioni per piano a quella dei brani originali.

E se ogni tanto parte la voglia di fare un po’ di karaoke sulle note di piano dei grandi classici come “Vivo da re”, vabbè, ci sta… speriamo non si lamentino i vicini. (Lorenzo Montefreddo)