ROSSOMETILE  "Desdemona"
   (2020 )

In quel tempo della nostra vita mortale che più o meno coincide col mese di agosto anche Music Map si concede una meritata pausa vacanziera.

Ne consegue che il disco della settimana di inizio agosto – fortunello! - resta pubblicato in homepage per un mese anzichè per i canonici sette giorni comandati, ricevendo tre settimane aggiuntive di esposizione mediatica. Ad esempio lo scorso anno la vetrina toccò in sorte a “1985” di Alosi, il quale – ahimè - neppure se ne accorse. Non per superbia o spocchia divistica: proprio non se ne avvide, pazienza.

E’ con immenso piacere che il vantaggio competitivo di questo funesto 2020 spetta ai Rossometile, band salernitana nata quasi un quarto di secolo fa e passata attraverso vari cambi di formazione, di stili, di scrittura, di sonorità.

Non nego il sottile piacere di esporre all’attenzione degli astanti un album che rappresenta e costituisce l’antitesi assoluta della pur piacevole frivolezza estiva, tutta disimpegno e fru-fru: ad anni luce dal sollazzo da spiaggia, “Desdemona”, quinto album in una carriera di solida abnegazione, ripropone il quartetto nella sua originale commistione di progressive, symphonic metal, derive gotiche e folk ancestrale. Virato in noir e popolato da una selva immaginifica di personaggi tra fantasy e ricostruzione storica, propone quarantasei minuti intrisi di una suadente melanconia, amplificata dal determinante apporto dell’orchestra.

Su questo piccolo mondo fiabesco si staglia la prorompente vocalità di Ilaria Hela Bernardini, la cui maestosa estensione innalza fino a vette inusitate undici composizioni ricche di un fascino antico e di un incrollabile, palpitante, innato pathos.

Introdotto da un devastante trittico iniziale e suggellato dai rintocchi di campana della tremante “Canzone del tramonto”, “Desdemona” è un caleidoscopio di squisiti eccessi, trionfo di sentimento, drammaticità, armonia e passionalità declinati in un linguaggio espressivo deliziosamente sopra le righe, anacronistico stupore che veleggia in un mare talvolta placido, altrove agitato.

Dalla sassata della title-track in apertura, passando per la sinistra intimità di “Hela e il corvo”, giù in profondità a lambire i recessi oscuri di “Nox Arcana”, l’album conserva intatta una poetica elaborata e sfaccettata, capace di incorniciare l’inattesa umanità de “Il boia misericordioso” o l’accelerazione quasi pop di “Rosaspina”, il lirismo flessuoso di “Sole che cammini” o l’aria cinquecentesca di “Storie d’amore e peste”, liberamente ispirata a Hesse e rigonfia di un prezioso singalong deandreiano.

“Finchè morte non ci riunisca”, dico ogni tanto alla mia adorata consorte: il tradizionale adagio andrebbe riscritto così.

Pertanto, nell’augurarvi ogni bene ed un’estate il più possibile serena, chiudo con alcuni versi tratti da “Oblivion”, seconda traccia dell’album e sublime canto innodico alla vita che verrà: ma tornerò da te nel giorno che il sole più non splenderà/sul mondo e su di noi/sarà un sogno che rivivrò con te/e la morte ci unirà sempre nell’oscurità.

A me riempie il cuore, ma se preferite ci sarà sicuramente on-air qualche altra “Despacito”. (Manuel Maverna)