DIE DIE BE  "Secrecy through public disbelief "
   (2020 )

In Secrecy Through Public Disbelief, titolo appena visibile sulla cover del disco per volontà stessa della band, gli svizzeri Die Die Be si avventurano in sentieri ripidi e cupi con sintetizzatori e batteria ad accompagnare le due voci che si dipanano in mezzo a capriole e ostacoli. Tante le domande che si (e ci) pongono, tante le risposte che propongono.

I Die Die Be hanno certamente molte idee per la testa. Già il loro nome, che raddoppia con forza la parola inglese “morte” e la fa seguire da uno speranzoso – o forse ironico? – “be”, “essere”, gioca con la natura fragile e contraddittoria dell’uomo. Consuma e poi muori, diceva qualcuno più saggio di noi, e pare che questi svizzeri vispi e acuti abbiano riflettuto anche su questa massima. Muori due volte e poi vivi, paiono suggerirci, perché solo così potrai ricreare un ordine mentale nuovo e più solido. La morte è vita: la doppia morte, come due numeri negativi moltiplicati tra loro, porta a un risultato positivo, a una vita più vera. Nel loro synth-pop sperimentale e oscuro i Die Die Be non hanno alcun timore di affrontare a viso duro stregoni e nemici.

Se la morte è dappertutto, ci insegue ed è vita, la partenza non può che essere ardua e cruciale. In “Stoa” e “You Are You” le voci angeliche si rincorrono in una prateria che, come per la Proserpina/Kore dei miti greci, diventa foriera di intrighi e di buio. Synth e batteria creano continui crescendo e diminuendo che spaventano e sfuggono al nostro controllo. Si discende agli inferi in “Fear”, dove la voce pare diventare robotica e l’electro-pop un po’ psych infernale. Ma il ritorno alla vita è sempre sognato, e viene immaginato in “Signal Noise”, la cui melodia claustrofobica si risolve in improvvise aperture liberatorie.

Si tratta, però, di una libertà momentanea, evocata e sfiorata ma mai abbracciata del tutto. La doppia morte è vita, ma in questo ciclo le due cose finiscono per confondersi ed essere sempre più sfumate. Così alle rinascite si alternano momenti di caduta libera, dove si tocca il fondo coi piedi e col petto e si rimane risucchiati in un vortice nero di rabbie a paure. In questo senso la traccia che dà il nome all’album, “Secrecy Through Public Disbelief”, che oltretutto chiude il disco, è esemplare, col suo saliscendi di emozioni fortissime e così diversificate. In “Fake Money” il gruppo si concede un momento di puro pop elettronico con forti risonanze Anni Ottanta, a dimostrazione della versatilità della band. Non siamo di fronte a qualcosa di estraneo al resto del disco, sia chiaro. Tutto si integra perfettamente e, anzi, le sette tracce che compongono l’album formano un tutt’uno coerente e maturo. “Awa Key”, uno degli episodi più travolgenti e ambiziosi, si fa ben presto una jam, un lungo trip lisergico e acido che conduce direttamente alle stelle. In questa direzione la musica dei Die Die Be si muove, in un insieme di morti e rinascite e di idee coinvolgenti. (Samuele Conficoni)