EMILIE ZOE' & CHRISTIAN GARCIA-GAUCHER "Pigeons – Soundtrack for the birds on the treetops watching the movie of our lives"
(2020 )
Emilie Zoé è una deliziosa artista svizzera originaria di Losanna. Una voce defilata sulla cui ben riposta grandezza difficilmente leggerai più di qualche riga. Un animo dolce ma tormentato che dal debutto del 2013 dispensa in punta di piedi la sua raccolta introversione in canzoni pervase da uno straniante e languido senso di abbandono.
Pezzi scarni, desolati, appassionati in un loro modo affascinante. Voce in primo piano, profonda, lievemente pigra, su atmosfere depresse. Ballate meditabonde, squadrate, buie.
Triste come una mattina di novembre, “Pigeons – Soundtrack For The Birds On The Treetops Watching The Movie Of Our Lives” cattura la musica concepita e scritta nell’arco di pochi giorni nel 2018 insieme al suo produttore Christian Garcia-Gaucher su richiesta del comitato organizzatore del festival del cinema alternativo di La Chaux-De-Fonds.
Scopo dichiarato: presentare una colonna sonora da associare ad un film scelto dal duo, chiamato ad eseguirla durante la proiezione.
Scelta della coppia: “Un Piccione Seduto Su Un Ramo Riflette Sull'Esistenza”, opera che valse al regista svedese Roy Andersson il Leone d’Oro a Venezia nel 2014.
Successo della performance: notevole, tale da convincere il duo – improvvisato, ma non troppo, con l’aggiunta di Nicolas Pittet alla batteria - a riversare su album quella musica due anni più tardi.
Il crooning incrociato di Emilie e Christian è solo uno degli atout giocati: la realtà è che il disco funziona a meraviglia anche slegato dal film. L’amalgama tra le due voci crea un’alchimia mesmerizzante che avvolge queste tenui, esili composizioni in un bozzolo delicato e fragile, un piccolo mondo sottovuoto, fiabesco, incantato. I personaggi ruotano come in un carillon, o al riparo del vetro in un diorama la cui fissità attrae fino a stregare.
Stralci di Mark Lanegan e Tindersticks si fanno spazio tra le anse di brani intensi e timidi. “The grand scheme” parte sintetica con un abbrivio martellante e metallico scosso da una oscura pulsione ossessiva di bassi rimbombanti e incupiti sulla quale Emilie ricama flautata una suadente aria malsana sottolineata dal timbro profondo di Christian. La trama si ripete in “People”, con doppia voce su arpeggio frenetico di chitarra classica, nello struggente lamento di “Lotta”, nella quasi coheniana “Next time”, questa volta col baritono di Christian a lasciarsi contrappuntare da Emilie.
Tra suggestioni che inglobano e impastano Mazzy Star e Blonde Redhead, un mood contrito ed afflitto trova vertice assoluto di umbratile riflessività nella sublime aria in minore di “The painter”, spaccata in due da un chorus tanto ampio quanto diafano, steso su un toccante fraseggio ben più che memore dei Girls In Hawaii.
E se “Daddy – looking for him” mischia rumori ambientali ed un valzer minimalista registrato in lontananza, mixato in secondo piano come fosse captato da un’altra dimensione (spiazzante la tastierina Bontempi di Christian), “We age (wars)” sfrutta una cadenza sintetica e robotica, metronomica e algida come una litania di Liz Green, mentre “The good life” chiude mesta su bassi pulsanti ed una cadenza catatonica à la Low, funerea come Kendra Smith che canta i Joy Division o come una riedizione di “Glory box” dei Portishead.
Calato il sipario, rimane l’eco di mezz'ora di musica nata da un esperimento, sorprendente per quanto giunga illuminata, cangiante, intima. Palpitante e viscerale, scritta e suonata con tanta anima da prendersi la scena in un trionfo di desolazione sparsa in undici frammenti, schizzi, interludi, canzoni e idee di canzoni. Un pulviscolo che accarezza e talvolta acceca, capace di traghettare da un capo all’altro di una narrazione mentale prima ancora che visiva. (Manuel Maverna)