CHRISTIAN WALLUMRØD ENSEMBLE  "Many"
   (2020 )

“Many” è l’opera musicale sperimentale della Christian Wallumrød Ensemble, in uscita, in questo nefasto 2020, per l’etichetta Hubro. E’ composta da materiale musicale sviluppato in quattro anni. Con una commistione di strumenti acustici ed elettronici da cui la realizzazione di imprevedibili combinazioni di suoni e nuovi approcci all'improvvisazione. L'elettronica, quindi, ad integrazione dei suoni acustici di sassofono, tromba, violoncello, percussioni, piano e harmonium. Una sinergia di idee in un mondo sonoro che sembra parlare, ammesso lo faccia, della primaria difficoltà per un compositore di dire qualcosa che si collochi al di fuori dello suono stesso. Si percepisce un’intenzione musicale fondata su elementi disparati, facilmente assimilabili alla polifonia rinascimentale o alla musica antica di corte. Musica in un certo senso legata anche alla tradizione popolare norvegese, al jazz d'avanguardia o alla quiete meditativa stile John Cage e Morton Feldman. Al di là dei riferimenti, tutto è contestualizzato in un'austera economia di mezzi che conferisce grande enfasi alla purezza del suono. Soddisfacente al punto di ritenere che si tratti di un genere a sé stante. Composizioni strutturalmente dotate di momenti di netto silenzio, precise ripetizioni, ritmi disgiuntivi, stop-start e aperture con stacchi che lasciano interrogare (inconsciamente) se tali tentativi si uniranno mai per intessere una melodia. Memorabili sono composizioni come “50/80”, con la sua fase iniziale intervallata da parti di pianoforte e silenzio. Esperimenti che, in un certo senso, ricordano altre analisi sonore già effettuate, ad esempio, in album come “L’Egitto prima delle sabbie” di Franco Battiato. “Danszaal” è la composizione in cui viene sperimentato, con precisione certosina, lo stacco e l’attacco, la ritmica volutamente scoordinata, la melodia inframmezzata da pause. In un suggestivo dialogo di fiati, pianoforte e percussioni che sembra giochino tra loro come bestie innocenti in un bosco di silenzio. Esperimento che si ripete in maniera più incisiva in “Staccotta”. Con il rullante della batteria ed il pianoforte a scandire, all’unisono ed in maniera regolare, un ritmo in contrattempo. Quasi a figurare di formare il campo in cui gli altri strumenti acustici potranno pascere liberamente e proliferare. “El Johnton” è invece il brano che contiene più variabili e più di tutti dà spazio all’improvvisazione, alla ricerca di sonorità destinate a stupire. Dopo l’interessante ed accessibile intro della durata di 3 minuti e 20 secondi, s’inerpica in una selva di suoni misteriosi, oscuri ma affascinanti. Quasi raffigurando l’interno di un bosco notturno, ove ogni pericolo può comparire improvvisamente dalla natura. Per poi risalire in superficie al minuto 10:08 e traghettare fascinosamente l’ascoltatore verso una partitura che si fa stavolta più forbita e varia, fino alla fine del brano. Le altre composizioni rappresentano, in diverse angolature, le varie intenzioni di Wallumrød. In particolare “Oh gorge” è contrassegnata dalla presenza di una seconda parte dal rallentamento graduale e dalla purezza del suono che pare si immetta nei neuroni (stante l’ascolto in cuffia) con la stessa potenza di un ASMR. Poi la oscura e ermetica “Abysm” e la vivacità ripetitiva in contrattempo della finale “Dialect”. Dunque, un’opera musicale, questa della Christian Wallumrød Ensemble, destinata ad ascolti che non si accontentano, che vanno oltre perché ormai sono già oltre i generi musicali. Oltre la disgregazione della forma compositiva standard, per la quale ad ogni associazione di suoni deve per forza corrispondere una melodia. In “Many” il suono è un mezzo ma la melodia non è il fine. (Vito Pagliarulo)