STUMBLEINE  "Sink into the ether"
   (2020 )

Sfuggente ed inafferrabile, ha toni deliziosamente suadenti e notturni “Sink into the ether”, settimo e nuovo lavoro pubblicato per Monotreme dal producer britannico Stumbleine, originario di Bristol e già da lungo tempo figura di prestigio (lo ricordiamo nel trio Swarms) all’interno di una scena che coniuga chillout e lounge miscelandoli con innesti presi a prestito da lande limitrofe, equilibrando elettronica e chitarre in digressioni imprevedibili.

Se nella prima parte – emblematica l’opener “Sonder” - l’album indulge dapprima con eleganza ad una club-music rivisitata in chiave downtempo, nella fase centrale si affida ad atmosfere eteree ed impalpabili strettamente imparentate con suggestioni post-ambient, dando vita a composizioni talora volutamente inconcluse (i fremiti sospesi di “Tidepool” ricordano certe intuizioni dei Bar Psychosis, la dilatazione di “Lost to the world” è percorsa da vocalizzi distanti come echi nella brughiera). Largamente strumentale, “Sink into the ether” si avvale dell’interpretazione di Elizabeth Heaton dei Midas Fall nella cover slowcore di “Malibu” delle Hole - resa in una versione che richiama le Warpaint più che l’originale - e da vocalizzi sparsi a fungere da corollario in qualità di strumenti/suoni aggiunti.

Da “Words fail me” in poi i riferimenti iniziano lentamente a mutare, giungendo a lambire tremolii shoegaze e dream-pop tra My Bloody Valentine e Mazzy Star, stendendo su “Supermodels” un leggero manto di trasognato feedback che sa di Angelo Badalamenti a braccetto coi Cocteau Twins, avvolgendo la morbidezza di “White noise therapy” in un’aura perfino neoclassica.

I sussurri svenevoli di “Disintegrate together”, ennesimo accenno di canzone che pare un’idea e poco più, chiudono su due minuti diafani ed evanescenti un album di raffinata purezza, confidenziale e carezzevole, a suo modo magistrale nel bilanciare con garbo le diverse anime che lo abitano. (Manuel Maverna)