I GINI PAOLI "Amargados"
(2020 )
Punto primo: la musica è arte ed evasione. Punto secondo: chi innova va lodato a prescindere. Punto terzo: inventarsi un linguaggio certifica estrosità. Detto questo, trama nell’Underground il power-quartet genoano de I Gini Paoli, il quale entra in scena esibendo il full-length “Amargados” come un documento di distinta identità stilistica. Sì, ma i contenuti? Niente retorica, niente ipocrisie, il “già sentito” non pervenuto. A tentare una definizione: un distopic-combo i(ride)scente. Si riflette molto, tanto “fun”, c’è empatia, si concorda su tutto, ma non c’è più tempo poiché scalpita l’inaugurazione: tagliano il nastro affidandosi alla strumentale “Berlino Bogotà Bagoon”, caratterizzata da rigagnoli di speakeraggio e chitarre danzanti che conservano, in parte, anche nella successiva “Gino, tienes una bala en tu corazon”, ma stavolta entra in campo il nuovo idioma del collettivo ligure che viaggia a ritmi tropical-funky, mettendo i puntini su adorabili stramberie. Tutto sembra frutto di spensieratezza e cazzeggio ed invece, nella quadra, ci sono risvolti di sacrosanta denuncia contro stereotipi ed etichette che serpeggiano nel cuore di una società banalizzata da tante frasi fatte, contaminate da un muro di malizie che s’innalza dietro spudorati interessi. Ben venga, quindi, lo sberleffo mascherato in sardoniche partiture che i Nostri san spiattellare con ghigno pertinente. Ce n’è anche per il presidente della S.i.a.e., semi-celato nella sghemba “Uh, la iglesia!”, che sdogana sempre più l’originalità della proposta. Si reggaeggia di brutto in “Gino me tassiò”, imperniando il tessuto con zeppe di armonica che ti fan salpare dritto verso la Giamaica in ludica evasione, trascinando dietro anche le claps e una briosa female-voice nel minuto accappella di “Berlino Bogotà Bagoon #2”. Ma, tra pezzi folli, irriguardosi, velenosamente efficaci, chi ha la paraculaggine del singolo? Per lo scrivente, “Cesare Bassisti” tutta la vita, poiché qui si conia l “ita-gnol-ghese”, in cui l’andazzo mischia frenesie carioca, mulinelli iberici e un mordace refrain vintage, degno per sferrare il gran colpo finale. E’ lapalissiano che “Amargados” rispecchi scritture insolite, volte a non banalizzare il pentagramma per cucirsi addosso indubbia originalità, e con ciò saprà eliminare gli sbadigli di parecchi annoiati desinatori di musica, saturi di tante solite minestre riscaldate: quelli, insomma, che non avranno più modo di blaterare “Mai ‘na gioia!...”. E invece… (Max Casali)