NICOLA DENTI  "Egosfera"
   (2020 )

Chissà se la concretizzazione di un’idea per un concept album di rock strumentale, dalla maturazione all’attuazione, nella normalità dei casi richiede un tempo medio-alto di realizzazione pari a dieci anni. Non è strano a dirsi, ed è infatti quanto accaduto al chitarrista emiliano Nicola Denti, che, oltre a dedicarsi, negli anni, all’Accademia Musicale Polivalente di Parma (di cui è fondatore), a far parte della band Custodie Cautelari e ad avere da fare in collaborazioni con svariati artisti del panorama musicale italiano, nei suoi vari viaggi in auto concepiva mentalmente le linee musicali dei brani di questo “Egosfera”. E tra un concerto ed un viaggio, un viaggio ed un concerto, eccolo qui, a distanza di dieci anni, l’auto-prodotto album del chitarrista/session man. E’ un concept di musica rock strumentale che stende il suo manto sonoro intessuto di storie e suggestioni musicali create al fine di raccontare, in maniera parzialmente autobiografica, il viaggio di Ekov verso Egosfera. Si tratta di un viaggio distopico di un personaggio denominato Ekow verso un mondo fittizio chiamato Egosfera. Un mondo, una dimensione a cui ambire, ove è possibile trovare l’equilibrio del proprio Io. Il riferimento è pertinente alla nociva frenesia di questi tempi, quella che favorisce la spersonalizzazione dell’individuo. Dove il ritrovo di sé stessi può avvenire solo con l’allontanamento da tutte le tossicità della società moderna. Un comportamento assimilabile al rinsavimento. Un rinsavimento musicale, però, che ha i toni ed i colori del puro rock. Che ricorda le sonorità piene e colorite di Jeff Beck, i contrassegni distorti ed i fraseggi di Steve Vai, e gli acquisiti frammenti virtuosi di Frank Gambale. Dunque, il viaggio inizia con “Day one”, che ha la valenza di mettere in moto chissà quale infernale macchina rock dal pathos e dall’ispirazione JeffBeckiana dei tempi di “The Pump”. “Distorted reality”, però, tende a rappresentare meglio il concetto base dell’album. E tale sensazione ben si percepisce dal pesante e metallico intro di venti secondi del brano; quello ai limiti del nu-metal. Con tanto di videoclip rappresentante una realtà tutta vista all’ingiù, probabile riferimento metaforico alla dissoluzione sociale. “The project” invece, stando alle descrizioni di Denti, è il brano da cui tutto il concept è partito; è quello che ha fatto da apripista all’ispirazione per tutti gli altri brani. Mentre “When all seems lost” è il brano in cui le atmosfere diventano un po' più ricercate e rilassate; ed è qui che emerge il fascino della chitarra distorta, che non stride e non protesta alle orecchie del sordo potere. Sembra infatti un brano raffigurante la desolazione, ma nasconde parti melodiche in scala maggiore che fanno figurare ed intravedere un margine di speranza. “Escape from madness” ha la velocità di un’auto in corsa, che corre, e non si ferma. Con le sue parti di guitar solo ben scandite, quasi fossero ancora e solo loro le protagoniste indiscusse di questi tempi. Ma tali deduzioni vengono infrante dalla acoustic guitar di “By the river”. Un po' country, un po' fingerpicking, un po' orientaleggiante ed un appena un po' evocante la zeppeliana “Black Mountain Side”. Per poi tuffarci nei versi innocenti di un infante, che sarebbe l’intro di “All the good things”. Brano dall’andamento tranquillo, che infonde speranza coi suoi assoli positivi in scala maggiore, regalando immagini in movimento con scenari fatti di giornate di sole. E poi “Awakening” e “Brain charmer” che più di altri sembrano composti (anche) per esibire le varie sfaccettature della tecnica chitarristica di Denti e fungono, al contempo, come anello di congiunzione del concept col finale di “The long journey”. Finale che ha note che giocano tra il pessimismo e l’abbandono, e si colora poi di vari toni musicali, fino a caricarsi ed incalzare in un finale tanto intensamente distorto quanto grandemente coinvolgente. Il lavoro del chitarrista Nicola Denti è destinato a chi apprezza le sonorità dei maestri chitarristi suddetti, ispiratori del musicista. E’ diretto anche a chi è convinto (o disposto semmai a smentirsi) circa il fatto che la chitarra elettrica distorta può creare belle atmosfere, non necessariamente aggressive o prive di attimi musicali di riflessione. A maggior ragione è diretto a quella parte di pubblico che, oltre a sentire (e non semplicemente ascoltare) la musica, vaga con la mera ma salda percezione che la musica suonata con l’ispirazione e l’ingegno umano non potrà mai essere sostituita dalla sola sinteticità dell’elettronica. L’album di Denti è dunque un bell’esempio di ingegno musicale umano, una tra le tante portabandiera dell’innata corrente di pensiero che predilige la musica (umanamente) suonata. (Vito Pagliarulo)