BODA  "Darkness and damages"
   (2020 )

Lo spessore di un artista lo si evince (oltre che dal talento) dall’umiltà e dalla capacità di rimettersi in gioco, anche a costo di rinunciare a progetti come solista per integrarli in dimensione di band. Il perugino Boda (Daniele Rotella) ci insegna come il passaggio anzidetto abbia giovato alla causa, accantonando le stesure umbr(o)atili del primo full-length “Songs: for a lovely soul”, per incarnare verbi esecutivi più coesi ed emozionali nel nuovo “Darkness and damages”. Assai azzeccato fare gli onori di casa con “White dog”: chitarre pigre ma determinate a disegnare estatiche pitture di indie-rock. In “Starry sky” sembra che il cavallo della copertina si sia introdotto quatto-quatto per sgambare al piccolo trotto ed affiancare la strascicata linea vocale, appoggiata in connotati very British. Difficile rilevare “ombre” nell’album, se non nel titolo della terza traccia: “Shadows” sembra scritta da Neil Young che fuma 40 sigarette al giorno e lievemente alticcio, ma con inopinabile fascino d’ugola. Tra le sorprese più liete c’è “Just needed a friend”, in quanto avvolta nelle strutture compositive filo-Interpol: molto dark ma tanto cool. La formazione umbra non ostenta “paure” di alcun tipo, né tantomeno in “Fears”, appunto, in cui dapprima il guitar-work di Boda è confortevole e cullante e dopo abrasivo e distorto. Invece, nello spartito di “Broken screen” convivono estranianti misture di alt-rock e post-wave che ti mettono all’angolo, a tal punto che non sapresti cosa rispondere alla domanda: “Che razza di formula si sono inventati”? Chapeau! Dopo la dinoccolata “Ballroom”, avvinghiata in un trip surreal-spaziale, la mano passa alla posata “All the notes”, la quale non può di certo ambire a essere un singolo di punta, però se t’imbatti nel desiderio di rallentare le frenetiche lancette del quotidiano, metà degli otto minuti cadono a fagiolo, mentre gli altri quattro sono deputati al risveglio, alla scossa risolutiva, finalizzata ad evadere da realtà illusorie. Nel frattempo, il mitico Neil ha smesso di fumare e bisbiglia all’orecchio della band il segreto come chiudere, in lode, con una splendida country-folk-song come “13th floor”. Magari altri, al posto di Daniele, si sarebbero adagiati sugli allori degli apprezzati e noti The Rust and The Fury (di cui era l’indiscusso leader), ed invece lui ha preferito rigiocarsi la partita con “Darkness and damages”, che lo porta ad esprimersi con ampliate visioni stilistiche e che fanno solo il bene di un artista per raggiungere evolutive vette artistiche. Di questo passo, la cima non è poi cosi lontana. (Max Casali)