DANILŌ "Sirius"
(2019 )
“Sirius” è un tuffo con immersione di circa 17 minuti nel mondo new wave e pop/post-punk anni ‘80 del secolo scorso. Danilo Sannelli, in arte Danilō, è un italiano a Parigi che produce sonorità dagli influssi in gran parte rinvenibili nelle intenzioni musicali di tipo Kraftwerk/Eurythmics/Gary Numan, con strani echi provenienti da pianeti Joy Division/Talk Talk/Human League. E’ un EP che cerca un punto di contatto con le origini della musica elettronica, quella dei sintetizzatori, proponendo a sua volta armonizzazioni prodotte col combinato inconfondibile di strumentazioni elettro-analogiche. Ciò al fine di ricordare all’umanità di un treno che ci trasferirà verso la dissoluzione nello spazio remoto, con l’arrivo su Sirius, destinazione finale e luogo di remissione dei peccati, ove tutti diventeremo “la stessa cosa” ovvero polvere e spazio. Quello di “Sirius” è un ambiente con sonorizzazioni piacevoli, sicuramente non disturbanti. Ovviamente - come gran parte delle cose degne di ricevere attenzione - è un ambiente che non può non essere solo per alcuni (astenendosi dall’orrendo termine “nicchia”). Sta di fatto che sia legato ad un peculiare periodo musicale di spiccate individualità originarie del contesto, trovatesi perfettamente a loro agio proprio perché giacenti in quell’alveo spazio-temporale. Oggi tutto ciò ha senso solo se vi è una fetta di pubblico che si rivede con fervore in quelle situazioni ed è pertanto disposto a seguirne le rievocazioni. Situazioni musicali, quelle di “Sirius”, che hanno come contrassegno anche venature appena rockeggianti alla più moderna maniera dei Bluevertigo di “Metallo non Metallo”. E’ il caso di “Spider”, brano più riuscito tra i quattro che compongono l’EP, ove, oltre alla interessante cornice ed alle intenzioni di fine elettro-punk, dispone di accenti e parti cantate che suonerebbero bene anche in versione rock, considerate pure le parti di batteria che danno il sostegno ritmico. Poi c’è “Nord”, che è il brano meno interessante poiché ha il demerito (se non la colpa) di inserire la lingua italiana, col suo cantato poetico un bel po' fuori luogo, all’interno di una glassa elettronica che ne avrebbe fatto tranquillamente a meno. E’ questo il rischio di evocare realtà sonore storiche di particolare individualità, di prevalente stampo britannico, introducendo elementi che potrebbero sembrare innovativi (il cantato in italiano) ma che tendono a stritolare un già precario equilibrio denso di anacronismo. In mezzo al punto più alto e più basso ci sono “Sirius Train” e “The wind” che suonano fluide ed elettroniche in modalità eighties al punto giusto. La prima è un fritto misto assortito alla Kraftwerk ed Eurythmics di “Sweet dreams” ed ha il compito arduo (assolto bene) di aprire l’EP, di rappresentare una degna introduzione e di dare il nome alla produzione. “The wind” chiude l’EP con una ritmica acustica lineare e con un cantato che, forse più di tutti, per i toni vocali e per gli effetti utilizzati, sembra essere registrato proprio nel famoso decennio a cui si ispira. Complessivamente questo EP è roba per appassionati, per cultori di un certo genere che viveva di sintetizzatori, di sperimentazioni elettroniche, di sonorità incardinate nel peculiare periodo storico. E’ roba per sentimentali elettro/post-punk. E’ roba per ascoltatori attenti che apprezzano e che al contempo sono consapevoli che si tratta pur sempre di rievocazioni.
(Vito Pagliarulo)