OLIVER SPALDING "Novemberism"
(2019 )
Novemberism, l’album d’esordio di Oliver Spalding, prodotto, come il suo EP del 2017, da Ed Tullett, è un concentrato di grande songwriting di stampo britannico e di raffinatissima produzione elettronica e scrittura dei brani. Ciò che ne risulta è un disco di grande impatto, anche emotivo.
Delicate melodie, sognanti tappeti sonori che puntano sia alla cantabilità che alla creazione di un’atmosfera cosmica penetrante e avvolgente, calda e meditativa, e una voce che sa variare da un falsetto in pieno stile Justin Vernon dei Bon Iver a una ancor più sussurrata dimensione intima vicina addirittura a Sufjan Stevens. E, nel tipo di arrangiamenti e produzione, così curati e onirici, l’influsso dei Bon Iver è ancor più evidente. Il disco si apre con “Athamé”, che sembra davvero ispirata fortemente dal disco omonimo della band di Justin Vernon, pubblicato nel 2011, ma sa costruirsi uno spazio tutto suo, originale e strutturato, flirtando anche con il neo-soul impressionista di un britannico come Spalding, James Blake, la cui fragile malinconia si può sentire qua e là in Novemberism.
La scrittura dei pezzi è precisa, coerente e riuscita, Spalding sa cosa vuole dalle sue doti di cantautore e dalla produzione dell’ormai fedele Tullett: ha parlato, in fase di comunicati stampa, di influenza dei Roxy Music, band che ama particolarmente, e questo lato art-rock emerge notevolmente un po’ ovunque, da “Xanax” alla title track, dalla minimale “Unreal”, quasi un gospel del terzo millennio, alla più cupa “Emissive”, dal pop cantautorale, classico e pianistico di “Golden” alla cosmica “A Stop”.
L’album scorre via senza intoppi e in ogni brano Spalding e Tullett inseguono e afferrano melodie cantabili e pop riuscendo a contenerle in pezzi più o meno sperimentali, non sempre facili a livello sonoro, composti anzi da tantissime parti stratificate che fanno sì che il disco risulti così avvolgente e profondo (nel senso di ampio e inclusivo di tanti generi e aspetti diversi). La voce talvolta lavora da vero e proprio strumento, come in “Her Crescent”, mentre in certi momenti il disco sembra virare verso spiagge inattese, come la quasi-dance “AIBM” o la ritmata “Bow Creek”, guidata da bellissimi synth. L’ottimo disco si conclude con la massimalista “Everglades”, che dimostra una volta di più quanto Spalding sia attento ai particolari e quanto lavori bene sotto la direzione del talentuoso Tullett.
(Samuele Conficoni)