RCCM "Frasi per tatuaggi"
(2019 )
Affinità/divergenze, forse è tutto qui.
Ne abbonda “Frasi per tatuaggi”, esordio per Riff Records della sigla RCCM (Rispettabili Criminali e Comuni Mortali), nuova incarnazione – nata per emanazione diretta - del collettivo Controfase, fondato nel 2004 a Bolzano da Emanuele Zottino e Andrea Beggio ed arricchitosi nel corso degli anni di nuovi elementi. Tra i quali Pietro Frigato, voce e autore dei testi, atout determinante ed incombente come un macigno su quest’arte soffocante e plumbea.
Affinità: quelle palesi.
Massimo Volume e Offlaga Disco Pax/Spartiti. Recitativo su tappeti di elettricità disturbata ed elettronica infida punteggiati da tessiture indocili. Rare eccezioni, come “Momenti di coscienza”, che insiste su un refrain cantato mentre fustiga impietosa. Musica mirabilmente pensata ed elaborata, ma funzionale. Un mezzo per uno scopo: lo scopo è la condanna, assente il perdono. Dettagli. Basi nervose ed irrequiete scuotono un reading asciutto, palesemente indignato, ma senza particolare fervore. Intriso di un evidente disgusto, questo sì.
Se Emidio Clementi porta in dote curiosità, storie vivide, tinte forti ed una inclinazione tra il letterario ed il cinematografico, Max Collini riesce perfino talvolta a strappare un sorriso beffardo o una lacrima di nostalgia: entrambi viaggiano dal particolare all’universale, da Emanuel Carnevali alla poesia in sé, dal Toblerone al degrado.
Divergenze, appunto.
Quelle che fanno di “Frasi per tatuaggi” - reprimenda dissenziente con corollario di denuncia, rabbia compressa e risentimento - qualcosa di non riconducibile in toto alle ipotizzate affinità, se non per meri aspetti formali. Disfattista e amaro, fastidioso e infastidito, tratta di debacle, crisi, fratture. Del crollo - impellente, imminente, inevitabile forse – di modelli e canoni: radix malorum est cupiditas, recita l’antico adagio nella soffocante cadenza sintetica di “Tutta roba risaputa”, saggio sul disturbo mentale reso spettrale da un crooning malevolo tra Giovanni Succi e Flavio Giurato.
L’apocalisse è quello che c’è già, n’est-ce pas? E’ implosione dalle fondamenta di un sistema fasullo e corrotto. E’ fumo negli occhi, ignoranza – che beatitudine non è - di masse addomesticate. E’ grande truffa e infinita vanità del tutto. Il maelstrom inghiotte e risputa economia, politica, nuovo feudalesimo e tecnocrazia. Stritola e polverizza autonomia e capacità di discernimento (il gelido ritratto di “Nei locali del centro”, arpeggio portante e feedback di sottofondo inclusi), perverte coscienze, mina possibilità: che sia chiaro, anch’io ho la mia patente/sono un Renzo qualunque che tuttavia non perdona alcun Don Rodrigo morente/ma prova un profondo senso di giustizia/grazie alla peste che lo spazza via (“Spiacevoli necessità”).
Affatto incline a condiscendenza alcuna, non salva niente e nessuno: è questa la divergenza finale, assoluta e profonda, incastonata nell’ora più buia di “Frasi per tatuaggi”. Pietà è morta, è morta la speranza, vanificata nel delirio tra surrealismo e retrofuturismo di “Sound science”, azzerata negli orizzonti perduti dell’iniziale “Buongiorno”, proclama raggelante di manifesta resa all’inganno. Non c’è conforto, non c’è luce, non c’è redenzione, forse neppure residua resistenza.
I sette minuti e quaranta secondi strumentali di “Buonanotte” chiudono muti su una cadenza sfuggente e bucolica, un’aria trasognata e dolcemente rattristata à la Giardini Di Mirò. Senza parole, ché non ne sono rimaste, come se tutto fosse compiuto.
Affinità/divergenze.
Il bello di questo disco è che esiste. Il brutto di questo disco è che esiste.
Il peggio è che tutto ciò che dice è vero. (Manuel Maverna)