MALKOVIC  "Tempismo"
   (2019 )

“La mia prima band si chiamava ‘Geppetto’. Facevamo musica grunge, quando il grunge era ormai nel dimenticatoio. Il tempismo non è mai stato il mio forte”. Questo ce lo racconta J.J. Maguire, un personaggio del libro e del film “Non buttiamoci giù”. Così possiamo iniziare a parlare di “Tempismo”, primo vero LP dei Malkovic, che grunge non sono, piuttosto gravitano nel post-rock, con spirito emo. Dopo due EP definiscono il loro sound con chitarre elettriche che dilatano le note (come nella traccia di chiusura “Loop one”, un trip di 14 minuti tra lunghe singole note e tuoni elettrificati) e diverse digressioni strumentali (“SVP”, “MAG NI)))” e “Resra”). Quando parte “Via Manzoni”, il primo pezzo cantato, da subito si capisce l’andazzo errabondo dei testi: “Ci vorrebbe la droga, la tempesta e la vita, e una gioia schifosa a spararti in faccia. Ma è tutto quello che non ho, e se mi guardi non so più chi sono”. “Sai te” inizia con note delicate su batteria che gioca col bordo del rullante, per poi deflagrare con la distorsione, e un basso sferragliante, sotto parole amare: “Ma non sei ancora stanca di prenderti a calci dall'ultima volta che ti ho vista ridere per davvero, non per noi”. Clima più complice in “Re Mida”: “Dove sei? Fai piano, che sotto ci sono i tuoi, non giocare nella stanza che brucia. Cercherò di scindere dal buio le ombre reali, gli istanti che non so dimenticarmi”. “Morgana” mantiene questa calma armonica apparente, mentre la batteria resta agitata, calmandosi solo sull’intima “60 mesi”. A dispetto del titolo, “Ometto” è uno dei pezzi con le parole più significative. Parte da una banale proposta di cenare insieme e fare la spesa, per poi d’improvviso allargare lo sguardo, mantenendolo però ironico: “Se poi penso al grande spazio sopra me, sopra la mia testa, e tutto il mare che c'ho dentro, cosa vuoi da me, perdonami se adesso volo via. Come un ometto che sa il suo perché, continuo a mani in tasca”. La frase del refrain è amarissima: “Sei solo un cieco che vuole vedere”. Ancora sonorità spaziali, infine, in “Case”, per riempire l’attesa di un ritardatario: “Arriverò a Porta Venezia, se non arrivo tu porta pazienza, mi perdo sempre tra queste case, mi perdo sempre”. Ed anche il suono dei Malkovic è fatto per perdersi, per arrivare in ritardo, per prendersi del tempo reale per sé stessi, lasciando da parte il tempismo richiesto dal mercato, che ci vuole nel seguire le mode, sempre più friabili. (Gilberto Ongaro)