PETRALANA  "Fernet"
   (2019 )

Il nuovo lavoro dei Petralana, “Fernet”, uscito a febbraio 2019 per la Suburban Sky, è incentrato sulla storia di un contadino degli anni ’40, che diventa soldato nella Seconda Guerra Mondiale, ma diserta scappando in America. Il folk della band fiorentina prende il sopravvento sull’ironia testuale di episodi precedenti, come fu nella canzone “A che ora arriva il DJ?”, per concentrarsi sul concept. Tra chitarra acustica, pizzicato del violino e percussioni, comincia la narrazione con la titletrack “Fernet”, con il disagio descritto: “Non sono di città e neppure del paese (…) una fetta di pane di tre giorni passata sull’aringa. Abitudine al silenzio, che peccato protestare”. La delusione d’amore è quella che spinge alla scelta di andarsene, raccontata in “Acqua tra le mani”: “Dopo che ti ho presa hai continuato a correre come acqua tra le mani. Sognavo grandi cose, posato sul tuo grembo (…) Lungo il sentiero, dopo quella curva, un uomo ti aspettava, era elegante, e tu non hai saputo dire no. Bianca come la neve di montagna, ti sei stancata presto del mio cuor, hai innamorato il figlio del padrone”. La figura del padrone è ricorrente nelle canzoni iniziali, mentre verso la fine prevale il campo semantico dei lavori manuali: i rimorchiatori che schiumano, il paniere sotto al filare e così via, e alla fine vedremo perché. Tornando indietro, “Mira” descrive i nuovi desideri di questa ex bambina, che vuole “sfoggiare nuovi colori, e l’acqua di profumo nella borsetta, un fazzoletto al collo come le signore”. Un sax soprano accompagna queste istanze di lei. Con “Soldati” invece una tromba suona grattando, e si aprono nuove prospettive per il contadino: “Con la mia divisa nuova vedrò paesi lontani, avrò perfino una foto sul giornale. Ritornerò al paese a bordo di un auto blu che anche il dottore mi invidierà”. E allora parte in treno, e con “La strada ferrata” i Petralana si focalizzano sulle emozioni del passeggero militare. La ritmica a metà brano si blocca, per far spazio a una zona a tempo libero, molto espressiva. Il violino trema assieme al contrabbasso, e le percussioni si fanno allucinate. Questo è lo snodo centrale del racconto: il neo soldato già si pente della scelta, e decide di disertare: “Sento da lontano piovere bombe a mano, e le ambulanze cariche di feriti e di morti fanno ritorno al fronte. D'improvviso ho voglia di scappare, nascondermi tra i rovi, vomitare, con la faccia nel cavo di un castagno, aspettare l'alba”. Nel videoclip che lancia questa canzone, la scena finale nel campo di battaglia è la visione di un cavallo bianco che scappa. Questo anticipa il brano successivo: “Ho sognato di essere cavallo”. Il soldato sogna di vivere al giorno e della sola terra, “senza preghiere e nazionalità”. E allora inizia questa fuga, con il pezzo alcolico “Sguardo di tuono”: “Il tanfo del gin non è casa mia, lo stomaco in gola, la gola secca ma avevo dietro la polizia, la polizia ti porta via”. Sguardo Di Tuono è il nome del tipo che aiuta il nostro a scappare, e lo avverte dei pericoli del mare. Ma lui è deciso, e parte con “Transatlantica”. E senza il sarcasmo di De Gregori nel suo “Titanic”, qui arriva la classica fisarmonica dei vagabondi del mondo, a riscaldare la partenza: “Il molo scompare ingoiato dal blu. Ah, com'è lontana l'America, nessuno si volta sapendo che indietro non si può tornare“. Particolare il pezzo “Liberazione”, strumentale andante dove le uniche parole sono i messaggi speciali radiofonici in codice di Radio Londra, all’epoca segretissimi e misteriosi (e lo sono ancora tutt’oggi se presi senza rifletterci: “Felice non è Felice; è cessata la pioggia; la mia barba è bionda…”. La guerra è finita, e gli ultimi tre pezzi tornano nella campagna: “Verso la sementeria”, “Il faro” e “Vendemmia”. Prima contadino, poi soldato, e ora barbone, “disteso su un marciapiede nel Bronx”. Ripensa al fratello più grande, rimasto a difendere la terra “con le punte del forcone”. Così, rivedere finalmente “i miei monti” e la fatica del lavoro rurale, diventa un motivo di felicità, dopo il triste trascorso bellico: “Lavo le forbici e guardo le donne cantare. Loro mi guardano e chiedono che racconti del mare. Vigna fanno festa, non è un giorno di lavoro che a far l'uva son buoni anche i bambini”. E così i Petralana chiudono una sorta di romanzo di formazione, dove il protagonista, inizialmente stanco del suo piccolo spazio e ossessionato dall’essere sotto un padrone, alla fine torna ad apprezzare ciò che aveva abbandonato, consapevole di quanto orrore può esistere, anche senza il mezzadro. E la strumentazione musicale aiuta in questa sorta di viaggio nel tempo, un tempo che ci appare lontanissimo. (Gilberto Ongaro)