SDANG!  "Il paese dei camini spenti"
   (2019 )

Stavolta, era un preciso obiettivo per gli Sdang! strutturare il terzo lavoro “Il paese dei camini spenti” sotto forma di concept-album, per ricamare i confini del loro estro strumentale in una quadra progettuale ben delineata, quasi ad invitare l’ascoltatore a seguirli, senza sosta, nell’errante cammino dei 35 minuti dell’opera, forgiati con suggestive orchestrazioni tra post-rock, metal-prog e rifiniture di shoegaze e grunge: una formula che rende chiara l’idea della ricchezza sonora all’interno delle tracce, sempre ben curate e mai lasciate in balia di tematiche astratte. Si capisce presto che questo è l’album più maturo dei tre finora incisi dal duo bresciano composto da Alessandro Pedretti e Nicola Panteghini, poiché riescono a sfoderare storie senza bisogno di parole, attribuendo al grande carisma della musica uno speciale fascino ammaliante. Spetta alla title-track fare gli onori di casa con un vassoio pieno di amarcord nostalgici, tra rumori di pioggia e tocchi di pianoforte che, insieme alla conclusiva “In assenza di nuvole”, accarezzano gli stilemi di “Mellon Collie…” degli Smashing Pumpkins, quasi fosse un’orlatura purificatrice, mentre l’irrequieta guitar di “Campanile oltre la nebbia” è una bella personalizzazione del duo che, nel momento di dare una sgasata post-prog, non sono secondi a nessuno bucando, come la nebbia evocata nel brano, il campanile del rock facendolo riapparire con intatto fascino. Invece, cambia pelle “Forse dopo cena verrà la neve”, così placida e cullante alle prime battute e grintosa e nervosetta nello sviluppo finale. Ancora grande tecnica espressa in “Il meccanismo dell’orologio”: rock concettualmente esoterico che picchia sul tempo del quadrante, puntualizzando fantasie meccaniche che avvinghiano forze latenti ma ben presenti nel proprio essere, sempre preso nell’impresa di decodificarne gli effetti sulle nostre azioni. Il singolo “Teleferica al chiaro di luna” è come godere del ricordo di quando la PFM era in stato di grazia: ma qui anche gli Sdang! rivendicano l’orgoglio italiano di saper trattare bene la materia in questione. In aggiunta, le immagini del videoclip (concesse dall’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea), ritraenti l’estrazione del marmo nelle Cave della Valcamonica, si sposano con sincronismi perfetti: vedere per credere. Credo che “Quando le donne stavano ai lavatoi” riassuma, al meglio, il “bilinguismo” espressivo del combo, il quale riesce a far convivere tematiche magari nostalgiche, delicate e tranquille, con un’impronta decisa del sound e con particolare tensione (come in questo brano), riuscendo ad incastrare fonti sonore agli antipodi e, talvolta, anacronistiche ma efficacemente amalgamate, come la successiva “La festa di san Sebastiano”. Per forza di cose, gli Sdang! dovevano suggerire, con i titoli, un indizio, un ricordo, un’escursione fantasiosa, ma sono fermamente convinto che, anche senza, tutta la gamma evocativa sarebbe stata, in gran parte, catturata e percepita con omologhe intensità emozionali. Perciò, di fronte a simili album, nessuna parola (come loro), ma solo applausi scroscianti. (Max Casali)