MERZBOW  "Monoakuma"
   (2018 )

Dopo tre anni dal primo supplizio, descritto (qui) dal collega Manuel Maverna, il rumorista Merzbow ritorna con “Monoakuma” (appena uscito per Room40 Records), una performance del 2012 registrata a Brisbane, all’Istituto d’Arte Moderna. Se nel lavoro sopracitato le tracce erano 4, qui l’evento è tutto compreso in un’unica traccia di 50 minuti. Si tratta di puro rumore, noise in senso letterale. Un impulso ruvido e senza speranza, che in questi cinquanta minuti non si ferma mai, ed assume nel tempo forme diverse, liberamente interpretabili. Inizia come un lontano disturbo di feedback, ma un colpo di ferraglia alza il volume trasformando il fischio in unghie grattate alla lavagna. Il fatto che ciò che ascoltiamo sia elaborato elettronicamente, diventa evidente poco prima del quinto minuto, quando il flusso viene processato al cut off, diventando in parte gommoso (come gli “zot” delle pistole laser dei primi film di fantascienza, per intenderci). Dal nono minuto tutte le frequenze sono sature, siamo in piena tempesta marina, che perdura fino al sedicesimo, quando le onde digitali assumono la forma di seghe circolari di una fabbrica, con tanto di scintille fissate senza vetro da saldatore. Al diciottesimo minuto Merzbow sembra concederci una piccola diminuzione d’intensità, per poi ripartire al diciannovesimo con la simulazione di ruggiti di tigre. Cose simili in Italia sono nella ghost track di “Dal lofai al cisei” di Bugo (ma sono scherzi di un minuto). Dal simulacro di eventi naturali violenti, l’impulso muta in un grande motore, all’arrivo della mezz'ora. Il reattore dell’astronave spinge, mentre al trentaduesimo i comandi impazziscono. L’allarme sembra sfumare, ma torna più ansiogeno di prima fino a diventare protagonista al trentaquattresimo minuto, che verrà poi investito da un totalizzante rumore rosa, come quello di una radio che non prende e che nessuno si decide a sistemare. L’arma del cut off diventa pericolosa al quarantacinquesimo minuto, quando deforma parte del magma non in maniera gommosa, bensì acuta e pungente. E come prevedibile, a conclusione di questa disavventura uditiva, si porta la saturazione ai suoi picchi massimi fino a venire rilasciata sgraziatamente, come un cadavere in un sacco nero, gettato dalla macchina nel fiume. L’ascolto di “Monoakuma” è altamente consigliato, nel caso vi piacciano i film di tortura fisica e psicologica… e vi identifichiate con la vittima. (Gilberto Ongaro)