ANNE-JAMES CHATON & ANDY MOOR  "Tout ce que je sais "
   (2018 )

Il nuovo album di Anna James Chaton e Andy Moor, appena uscito per Unsounds Records, è un percorso sperimentale ardito e ostico, pieno di invenzioni notevoli e di alcune parentesi dolcissime e sognanti, un album dove poesie recitate e chitarre ricercate creano un'atmosfera unica, al confine tra opera letteraria e opera musicale.

“Tout Ce Que Je Sais” fa parte del progetto “Heretics”, di cui rappresenta il secondo volume, dove il duo fa rivivere le passioni più oscure e violente, in compagnia di Caravaggio, del Marchese de Sade, di William Borroughs e di altri mostri sacri. È un disco che attraversa tantissimi stati d'animo e generi musicali differenti, in una serie di variazioni originalissime e curiose, ed è stato registrato durante un concerto parigino del 2017. L'album si apre con “Casino Rabelaisien”, dove la voce cavernosa e potente recita un poema su note di chitarra gravi e industriali, tra feedback improvvisi, rumori in lontananza e accelerazioni sinistre. A essa segue la traccia che dà il titolo all'album, una discesa negli inferi solitaria e inquietante, dove la chitarra esegue improvvise pennate e scandisce il ritmo della voce, che continua nella recitazione di una poesia, anche in questo caso in lingua francese, come tutto il disco. Momenti melodici e chiari si alternano a passaggi oscuri e spaventevoli, fino a punti in cui la voce resta sola, nuda, al centro dell'attenzione. “La Songe de Ludwig” continua attraverso le impervie vie dell'avanguardia già tracciate dai primi due pezzi del disco: si notano passaggi à la Einsturzende Neubauten di “Tabula Rasa”, con la voce che di nuovo recita un poema e le chitarre che creano una sinfonia insieme a rumori quotidiani e suoni di lavoro, che si aprono a momenti melodici imprevedibili e inaspettati.

“Coquins Coquettes et Cocus” rockeggia maggiormente, con distorsioni di chitarra più calde e una voce più aggressiva nell'impostazione, ma a incuriosire è la melodia, estremamente variegata, che cambia continuamente e concede al pezzo tantissime chiavi di lettura diverse. “Clair Obscur” inizia con la voce sola, ancora nuda e sotto ai riflettori, una voce chiara, ben modulata, che trasmette passione e rapimento; la chitarra interviene arpeggiando note misteriose, un riff quasi nirvaniano, in mezzo a una serie di momenti più caldi e alcuni più distaccati e leggeri. La chiusura del disco spetta a “The Things That Belong to William”, che nonostante il titolo è sempre in lingua francese, dove la voce è ancora più che altrove al centro dell'attenzione; sotto di essa un'altra voce inquietante, che pare provenire dall'oltretomba, ripete a rotazione le stesse parole, mentre la chitarra regala colpi distorti e stranianti che dettano il ritmo al tutto.

L'album si conclude in questo modo, lasciando lo spettatore sperduto e impaurito, soddisfatto e rapito, uno spettatore che è conscio di aver assistito a uno spettacolo difficile ma splendido, variegato e raffinato. (Samuele Conficoni)