SAMBA TOURE'  "Wande"
   (2018 )

L'America è la terra dove collochiamo mentalmente gli stilemi e le radici del blues. Pensiamo subito ad un "bar molto cattivo, luce verde sul bancone" per dirla con Capossela, nuvole di fumo sul tavolo da biliardo, insegne luminose e risse nella retrovia. Ci dimentichiamo spesso che invece il blues nasce nelle stive delle navi che trasportavano gli schiavi africani: è l'Africa che ha dato vita a quel feeling. Per cui, non si capisce il motivo per cui Samba Touré, dopo 8 pubblicazioni passate, si senta ancora in dovere di giustificarsi, nei comunicati stampa e nei videoclip: "Facciamo blues, ma a modo nostro". Probabilmente il discorso ha senso in Mali, dove la musica tradizionale si è modificata nel tempo, influenzandosi con la musica occidentale: ed è ironico che la musica occidentale del XX secolo a sua volta sia stata influenzata da quella africana. Noi siamo disabituati a sentirlo così, il blues, ma in un certo senso, sembra che quella musica torni in patria, e infatti non ci si ambienta affatto male. Il nono album dell'artista malese, "Wande", appena uscito per Glitterbeat Records, contiene 9 canzoni, la maggior parte delle quali offre un solo riff ritmico o un inciso melodico, reiterato fino all'ipnosi dell'ascoltatore. Non si sente mai il classico giro armonico "I - IV - I - V - IV - I", abusato da tutti almeno una volta. I titoli dei brani sono proposti sia nella lingua malese che in inglese. In "Yo Pouhala / Blah blah blah" la voce segue pedissequamente la linea melodica della chitarra, e le percussioni minimali, sia qui che in "Irganda / It is our land", scandiscono il tempo con un andamento magnetico. Qui e in altri pezzi, si può apprezzare anche il controcanto dello ngoni, tradizionale strumento monocorde dell'Africa occidentale. Ipnosi garantita anche con "Hawah", che diventa vagamente psichedelica in "Yerfara / We are tired", con un giro di chitarra elettrica che sembra un ancestrale "Cocaine"di Eric Clapton. Stessa sensazione americana per "Goy Boyro / The good work (well done)", con un giro elettrico "cattivo" come quello famosissimo di "Bad to the bone" di George Thorogood. Incontriamo però anche qui lo ngoni, che scontrandosi con la distorsione dà un esito lisergico, forse involontariamente: lo strumento etnico assume la stessa funzione straniante del sitar nei Beatles. Diverso effetto in "Wande / The beloved", dalla cadenza lenta e solenne del basso, dove lo ngoni si ritaglia una posizione centrale nell'arrangiamento, rispondendo alla voce sospirata e facendosi carico dello spirito del brano. Le fondamenta di "Mana Yero Koi" sono invece una chitarra acustica ritmica molto marcata, su un giro di due accordi. L'invito a muoversi a tempo è allettante. "Hayame / Be careful!" sembra essere invece l'unica canzone con un giro armonico da quattro accordi, anche se disposti in maniera inusuale, ed è un altro irresistibile esempio di capacità di coinvolgimento del corpo. E verso la fine del brano, arriva un assolo "canonico", riconoscibile come tale. Fra le percussioni, balza all'orecchio una che pare essere il rototom, per come modifica rapidamente l'altezza del suono ottenuto. L'album si conclude con una traccia intitolata "Tribute to Zoumana Tereta". E' interessante scoprire la musica di Zoumana Tereta su Internet: in un live di non poca importanza, e poi spiegherò perché, nel brano "AFH684" si può notare che c'è lo stesso inciso di chitarra di "Hawah" (e chi lo suona dev'essere lo stesso Touré). Zoumana cantava e suonava il soku, altro cordofono monocorde, più piccolo dello ngoni. Parlo al passato perché, a giudicare dai numerosi commenti di condoglianze, sembra che il musicista non sia più in vita. Quel concerto di cui parlavo, è importante perché rientra nel MalinkaW 2012, traducibile con "Voci del Mali". Un festival di musica malese, che quell'anno fu costretto a chiudere di fretta, a causa di un attacco jihadista. Fare musica proprio in quel posto, è una resistenza pacifica ai signori della guerra, sia economica che religiosa. E allora, tornando a questa dedica, accanto alla voce parlata di Samba Touré, possiamo ascoltare il controcanto del soku di Zoumana Tereta, e il brano termina sfumando in un vociare di bambini vivaci. Non voglio concludere facendo dissertazioni retoriche: la musica di Samba Touré parla da sé. (Gilberto Ongaro)