ELEONORA BETTI  "Il divieto di sbagliare"
   (2018 )

Semplificando al massimo, “Il Divieto Di Sbagliare”, esordio della deliziosa songwriter toscana Eleonora Betti per RadiciMusic Records, è un bel disco. Si snoda pulito e gradevole in un suo modo garbato e confortante lungo dieci tracce che brillano per compostezza e moderazione. Un album pensato, vissuto, voluto, ricamato come un pizzo con la cura e la malizia di un’artista che ha saputo capitalizzare le molte esperienze maturate nel corso degli anni in patria e non, enfatizzando con intelligenza le svariate contaminazioni – jazz e classica tra le altre – che ne hanno segnato il percorso umano e professionale. Impalpabile come zucchero a velo, delicato come il volteggiare di una piuma, “Il Divieto di Sbagliare” indugia su sonorità eleganti e gentili; più ossequioso verso modelli blasonati nei brani in inglese, mostra tutta la sua diafana bellezza triste negli episodi cantati in italiano, figli di una musicalità trascendente che si fa esangue in alcuni episodi lasciati nudi nella loro solitudine, affidata a pochi tocchi misurati del pianoforte e ad un dolente incedere rallentato (“Controvento”, lied sofferente con passaggi solenni à la These New Puritans). Arie traslucide in minore prendono forma in esili volute fascinose e conturbanti: canzone d’autore, si sarebbe detto un tempo, un veleggiare tra chansonne à la francese e sortite in territori limitrofi, tra echi di De Andrè (irresistibile l’opener “Quaranta Volte”) e suggestioni di Vincent Delerm (“On The Moon”), profumi di Liz Green (“Il Coniglio Bianco”, ma anche la toccante romanza di “Little Red Riding Hood”, impreziosita da archi struggenti) e più coraggiose divagazioni fra Tori Amos e Kate Bush (“Thunder”). Carezzevole ed introverso, ricco di intuizioni talvolta sviluppate, altrove abbandonate alla loro spoglia intimità (“Anche se non vuoi mai”, “Sogno”), l’album serba intatta una romantica confidenzialità, raccolta e docilmente mesta, espressione colta e raffinata di un’autrice aggraziata capace di porgere ad un uditorio esigente e devoto il lato più riservato e sincero di sé. (Manuel Maverna)