I PIXEL "Perfettamente inutile"
(2018 )
6 secondi: tanto basta per voler bene a questo disco. Due battute e sei già in quel piccolo mondo antico fatto di quel basso, di quelle chitarre, di quell’insieme inconfondibile.
Certo, occorre una predisposizione del tipo if you’re not into indie you are not my friend: I Pixel, quartetto di La Spezia, in “Perfettamente Inutile”, debutto lungo per la label sarzanese La Clinica Dischi dopo due interessanti ep, ci sono dentro fino al collo.
Fanno splendidamente la loro cosa ammiccando a tutto l’alternative di cui si ha (sempre) bisogno, attingendo al pozzo – che è un mare magnum – al quale tanti e tali si abbeverano ancora, per il sommo gaudio di noi molti adepti - vecchi e nuovi - di un culto mai tramontato.
Ingredienti, i soliti: una paradossale gioia ascoltare con la dovuta afflizione queste nove tracce che si cibano di una melanconia palpabile generosamente declinata in inflessioni da Cure (“Se Non Adesso, Mai”, “Non So Cosa Voglio Ma Lo Voglio Adesso”), ingorghi à la Verdena (“Nuovo Amore Via Wi-Fi”, “Cuore Di Scorta”), oasi di stralunata melodia obliqua memori dei Marlene Kuntz che furono (“Carosello”).
Il suono, rispetto agli esordi, appare più rotondo, equilibrato, definito, ma è questione – come spesso in musica – di stati d’animo, di punti di vista, di completa soggettività.
I testi, piuttosto: forse – addirittura! - l’elemento centrale dell’album, quasi fosse la musica ad assecondarne l’ingrigita mestizia. Vagamente disfattisti, venati di quella tristesse ineludibile che fa un po’ pessimismo&fastidio, epitaffi lapidari che lasciano quell’amaro in bocca ed il più classico retrogusto della grazia o il tedio a morte del vivere in provincia, come nello scorrere depresso di “Ha-Ha-Ha”.
E intanto ovunque ne “I Sogni Degli Altri”, altro classicissimo quattro quarti à la Smith/Gallup che si innalza su un chorus da Fine Before You Came virato in salsa Interpol, striscia, scalpita, pulsa, regna ancora quel basso che ti rimbalza in gola e non smette mai, preludio e suggello all’ennesima divagazione sulla vita, sulla sconfitta, sul nulla che hai e che avrai.
In tutto questo incupito sentimentalismo rovesciato, un ruolo determinante ha il canto straziato di Andrea Briselli, rigonfio di pathos al limite dello sdegno, traboccante di una sofferenza sorda, un incessante soffiar fuori parole dolenti come a cercare aria “rinchiusi in un castello che trema e crolla”.
La title-track in chiusura è niente altro che una dimessa ballata semplice sulla falsariga di “Pop” (repertorio storico premiata ditta Agnelli&co.), commiato che verga un testamento di straziante desolazione sulla pietra di pochi accordi maggiori, affidati ad un ritornello tanto melodioso quanto definitivo: “Invecchieremo secchi come sputo al sole/affonderemo lenti con del piombo al cuore/ siamo arrivati in fondo, e il fondo è perfettamente inutile”.
Quel ritornello, quelle parole, quel finale. Un delitto perfetto. (Manuel Maverna)