PAWEŁ SZAMBURSKI  "Długo, długo nic, a potem wszystko"
   (2025 )

Il compositore e clarinettista Paweł Szamburski ci propone una suite in sette parti, intitolata “Długo, długo nic, a potem wszystko”, che significa: “Per molto, molto tempo niente, e poi tutto”. La composizione è per clarinetto e orchestra, che qui è la AUKSO Orchestra of City Tychy.

Si tratta di ambient neoclassica, perché ci troviamo di fronte a lunghi droni sonori, con cambiamenti minimali nel tempo, per ottenere un'atmosfera statica ed avvolgente.

Negli primi cinque brani il clarinetto è protagonista. “Tafla” (“Piastrella”) che apre la suite, vede l'orchestra suonare pianissimo, per creare l'attesa. Szamburski entra in scena procedendo gradualmente, con poche larghissime note, per poi crescere di velocità e di intensità interpretativa.

L'orchestra si mantiene su un solo accordo tutto il tempo, per salire di un semitono con l'ingresso del secondo brano “Fale” (non c'è interruzione tra una traccia e l'altra, è un unico flusso), che vuol dire “Onde”. Qui il clarinettista prende il volo, tra trilli, glissati, vibrati e fughe melodiche che a tratti ricordano le soluzioni klezmer.

In “Wzburzenie” (“Agitazione”) il clarinetto assume un tono più acido (forse il suono viene effettato) e viene suonato con intenzione più aggressiva. Coerentemente, l'orchestra compare tonante, con tremolii e violenti colpi.

“Cisza przed burzą” (“La calma prima della tempesta”) sono due minuti di ipnosi, sui quali il clarinetto viaggia sulla scala frigia, creando quel noto effetto “desertico”. In “Burza” (“Tempesta”), gli orchestrali battono gli archetti sui propri strumenti, per ottenere dei rumori percussivi di bartokiana memoria, mentre il clarinetto commenta la “rivolta” sonora con una melodia malinconia in tonalità minore.

La rivolta prosegue in “Porządek” (“Ordine”), con l'abbandono del clarinetto dalla scena, mentre il violino primo ci intona una melodia che ricalca quella del clarinetto nel brano precedente.

La settima parte di chiusura, “Pożegnanie” (“Addio”), dura 13 minuti e per i primi 11 ancora Szamburski non torna. Siamo immersi in una specie di “fuga” al rallentatore, perché le sequenze melodiche si rincorrono tra le sezioni, però a una velocità che permette di entrare nelle intercapedini tra una nota e l'altra, indugiando spesso sulle armonie sospese. Negli ultimi due minuti rientra il clarinetto, puntellando la musica con note che non portano mai a una conclusione, una risoluzione: si resta sempre sospesi.

Potrei idealmente dividere la composizione in due macro parti: la prima comprende i primi quattro brani, arrivando circa a 15 minuti, ed è la parte più ambientale e statica. Gli ultimi due brani sono gli ultimi 18 minuti, dove qualcosa inizia a muoversi armonicamente, soprattutto nel lungo finale. A questo potrebbe riferirsi il titolo della composizione; niente per un lungo tempo, quindi un'attesa febbrile, e poi tutto, melodia e armonia che si sviluppano in maniera più completa, anche se poco prima del ritorno del clarinetto, anche qui l'orchestra si ferma a lungo sulle stesse note.

Un percorso musicale che si presta a libere interpretazioni esoteriche ma anche ad essere semplicemente goduto senza sovrastrutture. (Gilberto Ongaro)