IL GENTILUOMO  "Sole"
   (2018 )

Il Gentiluomo è un trio genovese, composto da due ragazze (Serana Orilia e Costanza Gennaro), rispettivamente al basso e voce e alla chitarra e cori, e da un ragazzo (Simone Cecchi) alla batteria. Fanno un indie pop abbastanza riconoscibile sulla scena attuale, e dai testi emerge una visione a tratti naif della realtà. L'album "Sole" vede la voce deridere acidamente gli uomini che si definiscono "alternativi" nel brano d'apertura "Alternativo": quelli che ripetono frasi fatte tipo "Il sistema fa schifo" e "Le donne son tutte puttane", però poi le puttane si trova ad ammirarle "perché sono strane. La grande bellezza la vedi riflessa nella loro stranezza, tristezza". Questo perché chi suscita fascino è chi ha una storia da raccontare, cioè spesso chi viene emarginato dalla società per davvero, non chi si autoemargina per darsi un tono da outsider senza esserlo: "Chi non è stato schiacciato non ha niente da dire, o al massimo lo dice male". "Sigmondo Freddo" invece è una storpiatura italianizzata del nome di Sigmund Freud, infatti nel pezzo, condito da suoni di tastiera vintage, la ragazza descrive la sindrome del pene mancante. "Via Pa" è un invito a un ragazzo a trovarsi sulle colline, senza impegno. "E poi tornerai, ricominceremo a giocare, e poi tornerai e faremo finta di stare bene o stare male". La canzone ha due tempi, uno veloce e in battere, l'altro leggermente più lento e in levare. "Sole al nord" è una road song che gioca sul termine "Sole", la stella, e il plurale femminile di "solo", ed è dedicata a Genova, che "è un po' quell'assicurazione che uno prudente si fa", e alla quale il trio sente di appartenere: "Sole in viaggio, così di passaggio per dirti che il mio posto è qua". L'approccio naif di cui si parlava all'inizio ora emerge nei prossimi tre pezzi. "Figli di bronzo" gioca tra un ricordo ingenuo d'infanzia e la gelosia: "Insieme ci siamo arrampicati su quel lavandino facendo finta che fosse normale a tre anni o due più, poi tu hai fatto finta di niente ed io senza di te sono rimasta lì". La ragazza si vendica: "Ho maltrattato la tua libertà, ero orgogliosa perché sapevo che ce l'avresti fatta anche senza di me". Un altro curioso ricordo emerge, le lotte d'infanzia "in equilibrio sui tetti con spade di legno". "Elefanti", con un cimbalo e una chitarra in levare vagamente ska, evoca l'immaginario circense e un ricordo di quando lei è salita sopra la schiena di un elefante, e il padre la incoraggiava; ma lei non era affatto insicura, stava "sognando da quassù un altro mondo, e da quelle orecchie grandi sentirà pure i miei sogni". Loda la memoria degli elefanti, che "non possono scordare chi li sa curare", un riferimento all'ingratitudine umana. In "Falena" si canta ironicamente una scenata adolescenziale: "Entro in cucina, sbatto la porta con il broncio, non m'importa di esagerare. Guardo male chi prova a convincermi che son fuori di testa in questa storia indigesta". Per non far vedere la propria delusione "Farai colazione in stazione ma dietro gli occhiali da sole". Conclude l'album un brano un po' più vago e per questo più inquietante: "La girana", dove si racconta di una donna che gira attorno a un fuoco stanco e "non lo vede quel saltimbanco" che la fissa come un serpente, mentre lei ripete: "Non sono niente", parole del ritornello ripetuto ossessivamente. Suona come un avvertimento verso chi vuole approfittarsi della debolezza e dell'ingenuità: "Con un gesto indecente può sedurre le carte". I testi comunque sembrano dimezzati, lasciano ampio margine d'interpretazione all'ascoltatore che può provare a completarli mentalmente, se gli va. Il Gentiluomo senz'altro non è né l'alternativo dell'inizio, né questo personaggio poco raccomandabile in chiusura. A meno che non si faccia riferimento ai "gentiluomini" quali clienti delle prostitute. Forse qui si tratta di una figura astratta, un ideale da ricercare, al quale il trio genovese deve anche affiancare la ricerca di una personalità musicale più precisa; mentre i testi già indicano una decisa direzione tipica della post-ironia dei nostri tempi. (Gilberto Ongaro)