L'ALBERO DEL VELENO  "Tale of a dark fate"
   (2018 )

L'Albero del Veleno è un interessante progetto strumentale di sei musicisti fiorentini, i quali propongono composizioni musicali che prendono spunto dal progressive anni '70 con riferimento alle colonne sonore dei Goblin, ma anche da Angelo Badalamenti. Dopo quattro anni dal precedente lavoro, esce "Tale of a dark fate", un'avventura sonora tanto affascinante quanto paurosa. Osservando i titoli dei brani, l'ispirazione viene direttamente dalla mitologia greca, in particolare dai tanti figli di Nyx, la dea che rappresenta la notte. Va da sé che l'atmosfera generale è decisamente oscura. Il concept è costruito meticolosamente, con tanto di Preludio, due Interludi, un "Interval" di 15 secondi di silenzio e un "Postludio", per cui si dipana una narrazione coesa, nonostante la varietà del materiale esposto. L'introduzione "Prelude - The Poison Tree" è costituita da un pianoforte agitato e da colpi di crash e kick di batteria, all'unisono con note solenni di chitarra e basso. Poi si iniziano a descrivere i tre fratelli del sogno, figli di Ipno (e nipoti di Nyx). Dapprima "Morpheus", il più famoso, che concede l'ingresso agli uomini nel mondo dei sogni. Un 11/8 introduce un pezzo dalle atmosfere gotiche che rimandano alla sopracitata band di Claudio Simonetti. La drammaticità non diventa mai troppo tragica, cosa che invece avviene col prossimo fratello, "Phobetor", poiché Fobetore è la personificazione degli incubi. All'interno delle cadenze rock del brano si può udire il violino eseguire dei rapidi tremolii verso l'acuto. Spicca invece il flauto traverso in "Phantasos". Il terzo fratello Fantaso rappresenta gli oggetti inanimati nei sogni, e così a un certo punto nel brano viene lasciata da sola la batteria, lo strumento più concreto per antonomasia, percussivo. "Interlude I - Momus", situato tra "Phobetor" e "Phantasos", fa spiccare la viola e il suo pizzicato. Dopo la comparsa dei tre fratelli onirici, è il turno delle tre Moire, tessitrici del destino: "Clotho", "Lachesis" e "Atropos". In "Clotho" ci sono certi colpi secchi di pianoforte che davvero rievocano una colonna sonora per Dario Argento, durante una scena di omicidio in "Suspiria". "Clotho" è la filatrice del trio, che tesse il filo della vita; "Lachesis" è il più rockettaro del trittico, con batteria e distorsione di chitarra in primo piano, per la figura che stabilisce quanto gli uomini debbano vivere, avvolgendo il filo sul fuso. Prima di arrivare ad "Atropos", colei che taglia il filo della vita con le cesoie, arriva il secondo "Interlude - Ananke". Per gli amanti del Notre Dame de Paris di Cocciante, il ricordo porta subito alla domanda di Gringoire: "Ditemi che significa, Ananke?". Per motivi di brevità, Frollo risponde con "fatalità", ma per essere precisi Ananke è la madre delle tre Moire, ed è la dea del Fato. Ed ecco per essa un brano di sospensione, su un'unica nota sostenuta dal basso, sulla quale improvvisa la chitarra. Fino ad esplodere in un prog rock che porta finalmente ad "Atropos". L'hammond che pervade il brano ci distacca momentaneamente dal sound cupo dell'album, e la batteria compie dei velocissimi passaggi di rullante in levare più tipici del death metal. Termina la narrazione il "Postlude - Moros", con appoggi funerei di pianoforte, violino ed orchestra che eseguono l'epilogo della musica, e della vita, personificato appunto da Moros. Davvero un album mozzafiato che dimostra la capacità de L'Albero del Veleno di creare situazioni di grande tensione ed emozione, elementi indispensabili per comporre colonne sonore efficaci, come infatti la band ha già fatto. (Gilberto Ongaro)