PICCOLA ORCHESTRA KARASCIO'  "Qualcosa mi sfugge"
   (2017 )

In ''Matrix'', Morpheus dice a Neo: "E' tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra nel mondo, non sai bene di che si tratta ma l'avverti". Probabilmente non solo Neo, ma anche Paolo Piccoli (e non solo lui) deve avere questo chiodo fisso in testa, da parecchio tempo. E la sua Piccola Orchestra Karasciò in "Qualcosa mi sfugge" mette in musica le sue tiepide inquietudini, che arrivano nel mezzo del cammin di nostra vita, cioè superati i 30 anni. La freschezza del folk pop che caratterizza la band resta inalterata negli anni. I testi presentano dei contenuti un po' imprevisti da chi cantava il dolore di "Beshir" e la satira religiosa de "La ballata del creato". Se prima Paolo voleva "fare a botte con Dio", il nuovo album termina con "Briciole", dove arriva a questa conclusione: "Siamo briciole sulla tovaglia di Dio". Più che una maturazione dell'età adulta, sembra che un filo di rassegnazione si insinui tra le parole, dotate tuttora della loro forza poetica. La rivoluzione viene citata sempre in chiave ironica, come quella dalla poltrona cantata in "Telecommando": "E di uscir non me la sento, quindi al momento mi accontento di una piccola rivoluzione dal divano". Forse, un po' come Caparezza (che nell'ultima sua fatica canta di volersi liberare dall'etichetta di artista impegnato), anche la Piccola Orchestra Karasciò vuole emanciparsi da quella facile insidia che portano con sé le canzoni con messaggi sociali. Dal primo pezzo la POK scappa citando Guccini: "A canzoni non si fan rivoluzioni", brano sostenuto da una vivace fisarmonica che ribatte dei veloci sedicesimi. Alcune canzoni si possono analizzare a coppie, avvicinate dai loro concetti. "Il nodo" e "Respira": la prima parla di cosa chiamiamo tristezza, di "un nodo che annoda bellezza" e di occhi che "ti pesano al pianto", affrontando l'amarezza della vita con una musica che indugia sulle settime maggiori, mentre la seconda risponde in modo più allegro con l'ossigeno. "Ti manca l'aria, ti manca l'aria, respira, respira, respira, respira!". Altre canzoni abbinate sono "Come mamma mi ha fatto" e "Tabula rasa". La voglia di sentirsi più semplici si fa esplicita: "Vorrei spogliarmi di tutto (...), togliermi di dosso quattro mani di tessuto che mi coprono dal mondo (...), quell'aria da persona navigata non mi aiuta a sentirmi meno coglione". L'autolesionismo è frequente in queste canzoni, Piccoli si dà da solo del coglione e dello scemo in più occasioni. E vuole ripartire da zero, dimenticandosi "le frasi fatte, i proverbi e i discorsi da bar". Nel tempo abbiamo accumulato troppe informazioni, molte sbagliate e/o inutili. Sarebbe bello fare come sul cestino del computer, trascinare e cancellare, invece: "ho la testa pesante, voglio respirare". Il respiro non è il solo concetto ridondante; anche l'immagine del treno, ricorrente nei pezzi della Piccola Orchestra Karasciò, torna nel titolo "Passa il treno", brano cantato in un coro divertito e con un tono quasi à la Jovanotti degli anni Novanta. ll treno, prevedibilmente, allude alle occasioni mancate: "Passa il treno, corri che lo perdi!". Fortunatamente al centro dell'album spicca un barlume di speranza. Una ballata in 6/8 che fa ricordare lo spirito resiliente della POK, "Resisto", col suo invitante ritornello: "Esisto, resisto e insisto". Allora forse, nonostante tutta questa imprevista angoscia da parte di un autore che da sempre ci invita a riflettere con la leggerezza della poesia, e nonostante sembra quasi ci voglia chiedere scusa del passato (non ce n'è motivo), rimane il concetto di Resistenza, stavolta indirizzata al vuoto dei nostri giorni invece che ad un nemico politico. E siamo arrivati alla canzone che dà il titolo all'album, punta gioiosa dell'Lp: "Qualcosa mi sfugge": "E' una vita intera che penso che qualcosa mi sfugga". I dubbi scaturiti dalla vita non sono colpa dei nostri errori, né dagli eventi avversi; sarebbero entrambi arrivati comunque. L'uomo è immerso nelle sue contraddizioni (lo è anche cantare di rivoluzione citando un Mac, dai Paolo!) e l'unico vero atto di maturità è accettare che le proprie convinzioni sono sempre parziali, tant'è che, forse involontariamente, proprio questa canzone termina con applauso ironico, come a dire: "Bravo, ci sei arrivato!". Anche se l'onestà intellettuale è evidente, forse non c'era davvero bisogno di disseminare tutte le canzoni con così tanta autoflagellazione, poiché l'elemento che emerge di più nella POK non è una presunta appartenenza a defunte Autonomie Operaie: è invece la poesia, la bellezza, l'autenticità, che anche nei lavori precedenti non può essere fraintesa, se non da qualcuno in malafede. E tuttavia, alla fin fine, le invocazioni dell'autore, come capita di fare a tanti poeti, vanno a finire alla "Luna", in questo caso accompagnate dal reggae: "Guardandoci da lassù non puoi che prenderci per il culo...". (Gilberto Ongaro)