LUCIANO PANAMA  "Piramidi"
   (2017 )

E’ sempre allettante valutare l’opera prima di ogni artista perché, solitamente, riassume un valido arsenale di idee accumulate nel corso degli anni e smaniose di uscire allo scoperto. Il messinese Luciano Panama, ex d.j., ha cominciato a creare i primi episodi in età adolescenziale dando vita agli Entourage, band che si è fatta notare e apprezzare da un buon pubblico. Ma, ad un certo punto, è fisiologico che un polistrumentista come lui senta l’esigenza di staccarsi dalla sua creatura per asfaltare una nuova strada solista con il caldo catrame del rock. La scelta contemplata da Luciano è schietta, diretta e con l’audacia di progettare e suonare (quasi) tutto da solo: in primis, l’energia del rock in quantità, mista a brevi e placide sequenze di dream-pop. Questo è l’humus di “Piramidi”, e non sorprendetevi se non riuscite ad afferrare tanti riferimenti o similitudini, poiché lo stile degli otto pezzi sarà, per certi versi, anche classic-rock, ma il fattore sorpresa degli arrangiamenti gioca a suo favore, sviando qualsiasi sospetto d’ispirazione altrui. Lavori cosi fan muovere, da sùbito, “Le ossa” con pennate dinoccolate e stoppate, a marcare un ruggito equilibrato e molto omogeneo. Sembrano piccoli e futili dettagli, ma le stranezze sonore piazzate all’inizio di “Man” (e di altri brani) danno il benvenuto ad interessanti incroci di piano e synth e ad altre soluzioni che compiacciono l’orecchio. “L’osservatore” è un apprezzabile pop-rock, umile e misurato, sullo stile di Moltheni. Ottimo ingrediente è la ballad camuffata nel grunge di “Ti solleverò”, con lento incedere ma grintoso incipit, miscelato con giusto acume. Le parentesi slow sono ben rappresentate da “Come l’aria”, con arpeggio d’acustica che flirta con l’elettrica, e “Gente del presente”, con interventi di varie tastiere a calibrare climi incorporei di dream-pop. Panama torna a graffiare con il tono ruvido di “Hey Man (all’improvviso)”, con tipiche svisate rock anni ’80: ottime per scuotere gli animi quando tutto sembra appiattirsi nella routine quotidiana. In chiusura, primeggiano in “Messina guerra e amore” i dolci violini ed il severo contrabbasso dell’elegante Giovanni Alibrandi, ondeggiati tra effetti di mare e di gabbiani. Cosa suggerisce “Piramidi”? Che si può realizzare un buon prodotto anche in modalità D.I.Y., senza eccedere in spocchie esecutive: basta non perdere di vista l’autenticità intenzionale di mirare al sodo senza acrobazie lessicali, con la sincerità difesa ad oltranza. E l’ipocrisia? Non pervenuta. Proprio vero: chi fa da sé fa per tre… (Max Casali)